Obiezione alle guerre e alla mininaja

La Campagna per l'obiezione preventiva alla mini-naja - con ogni probabilità - in arrivo (per decisione governativa), che è obiezione alle guerre e al servizio militare che prepara e combatte le guerre, ha un bisogno vitale del contributo dei lavoratori  che costituiscono il pilastro della comunità scolastica.

La parte del corpo insegnante più sensibile all'istanza pacifista potrebbe infatti essere un tramite fondamentale per coinvolgere attivamente gli studenti nella riflessione che precede la scelta: "Se la Patria - attraverso il governo in carica - mi chiamerà per verificare, con visite e test appositi, la mia reclutabilità nell'esercito cosa risponderò?"

È difficile, con l'aria che tira, avere incertezze sulla tempestività dell'iniziativa. Il vento della militarizzazione, della corsa al riarmo, della intensificazione delle guerre e dello scoppio di nuove guerre si sta levando fortissimo e non c'è dubbio che nel prossimo periodo avremo da fronteggiare una vera e propria bufera. Fa parte di questo vento la decisione del governo tedesco, con il ministro Pistorius, di voler prendere a modello la mini-naja svedese, ed è quindi quasi certo che il governo italiano seguirà a ruota.

Per ergere un primo riparo alla retorica del "nemico alle porte cui bisogna sbarrare la strada" è utile tutto il lavoro di esame critico che porta a ridimensionare la presunta minaccia, ma anche la diffusione di conoscenze sulle possibilità di eventuale difesa che la disobbedienza popolare organizzata può offrire.

Domanda. Le realtà pacifiste portatrici della proposta della difesa popolare nonviolenta possono essere equiparate alle strutture militari se si cerca di mettere gli studenti a confronto con la loro visione e la loro esperienza?

Un loro intervento nella vita scolastica potrebbe essere considerato una violazione della Costituzione, una azione propagandistica di indottrinamento lesiva del pluralismo culturale e della libera e rispettosa discussione delle idee?

La scuola non deve diventare terreno di reclutamento di personale in divisa per i militari. Ma dovrebbe forse esserlo, in modo analogo e speculare, per gli antimilitaristi?

Per realizzare l'unità pacifista delle forze, cioè la cooperazione e la collaborazione sul concreto, il cuore della campagna che proponiamo è la dichiarazione di impegno a Mattarella delle giovani e dei giovani: "Sono un obiettore alle guerre! Non mi arruolo nell'esercito! Sono pronto a servire la Patria con la difesa alternativa, sperimentando i corpi civili di pace!

Tutte le nostre argomentazioni che portano alla dichiarazione non escludono affatto cento altri possibili approcci alla scelta di voler essere inseriti nell'albo degli obiettori.

Per l'adesione ogni soggetto collettivo interpellato si concentri sulla dichiarazione. Per i contributi alle motivazioni e per la modalità migliore per fare conoscere la DPN (senza che, appunto, questo appaia un reclutamento all'"esercito alternativo") invece rifacciamoci al vecchio motto: "Che cento scuole rivaleggino"…

invito a partecipare all'incontro online di mercoledì 3 aprile 2024 - (4 aprile - 75esimo anniversario della N.A.T.O.) ore 18:00 - 20:00 Si chiede in particolare l'adesione all'appello "Signor presidente, le scrivo la presente, etc.

link: https://us06web.zoom.us/j/87250293962?pwd=wRIflrlrBA6X7GWsmvoUgbFjmENxOb.1


Qui di seguito due testi.

"Per una campagna di impegno pubblico: obiezione al servizio militare e alle guerre per costruire una difesa alternativa"

Alfonso Navarra – coordinatore dei Disarmisti esigenti - del Coorfinamento politico Campagna OSM-DPN (Lega obiettori di coscienza, sede in via Pichi,1 - Milano)

(dopo aver consultato Tonino Drago, già presidente del Comitato DCNANV)

Milano – 25 marzo 2024 (ultima proposta, versione 3 

Come secondo testo, un articolo di Alfonso Navarra che può completare molte nozioni utilizzate è l'anticipazione allegata che uscirà su QUADERNI DELLA DECRESCITA il primo maggio 2024.

Titolo: "La nonviolenza è la forza delle relazioni autentiche". 


Il link alla rivista online diretta da Paolo Cacciari e Marco Deriu : https://quadernidelladecrescita.it/

Stiamo riprendendo un'idea che a suo tempo fu lanciata dalla Campagna OSM-DPN (Obiezione di coscienza alle spese militari per la difesa popolare nonviolenta).

Un assenso di massima dei promotori per la ripresa, su basi revisionate e aggiornate, della loro iniziativa, lo abbiamo già ottenuto.

Un facsimile di lettera andrà concepito meglio e redatto in modo più accurato rispetto alla versione sotto presentata; ed è forse utile che esso sia articolato in una prima parte generale e una parte più personale.

La parte generale potrebbe essere così presentata e illustrata:

"Signor Presidente, le scrivo la presente per dichiararmi obiettore di tutte le guerre e della preparazione delle guerre mediante il servizio militare nello strumento militare italiano. L'ingabbiamento delle nostre forze armate nelle attuali strategie NATO non consente di attuare il "ripudio della guerra" stabilito nell'articolo 11 della nostra Costituzione. Tanto più che condivido pienamente l'opinione dell'antimilitarismo nonviolento, ribadita autorevolmente anche da Papa Francesco: "Oggi non esistono guerre giuste". L'aria che tira è quella di un ripristino di forme di mini-naja. In relazione a questa eventualità comunico da subito che, qualora dovessi ricevere la chiamata a presentarmi presso un ufficio militare preposto all'arruolamento, la mia risposta sarà un bel "Signornò!" antimilitarista. Non mi presenterò alla visita militare che dovrà verificare la mia idoneità. Mi avvarrò del diritto universale umano di chiedere, per obbedienza alla coscienza, di adempiere agli obblighi di leva prestando, in sostituzione del servizio militare, un servizio civile orientato alla difesa nonviolenta e quindi rispondente come il servizio armato al dovere costituzionale di difesa della Patria. Ritengo doveroso da parte dello Stato organizzare la mia formazione ed il mio inquadramento dentro un Corpo civile di pace, possibilmente europeo per attuare l'impegno istituzionale dell'ONU alla sicurezza comune dell'Umanità. Tenendo presente che presso l'Ufficio Nazionale Servizio Civile esiste per legge un elenco degli obiettori italiani alla Guerra per motivi di coscienza, chiedo che Ella rammenti al Ministro Crosetto che deve aggiornare tale elenco con il mio nome e che deve rendere pubblico tale elenco generale, essendo l'obiezione alla guerra un atto pubblico".


Per lanciare la campagna dovremo individuare una serie di organizzazioni pacifiste promotrici: chiaramente tra quelle che ritengono prioritario non supportare le guerre in Ucraina e nel Medio Oriente con aiuti e interventi militari; ed un gruppo di avvocati che facciano da retroterra e supporto giuridico, anche promuovendo le azioni legali necessarie.

Nostra responsabilità di Disarmisti esigenti & partners però non sarà di fare da semplice sponda a un rifiuto emotivo ed individualistico della guerra, da "pacifismo strumentale" (pur sempre preferibile rispetto al militarismo e al nazionalismo ideologici); ma di promuovere la consapevolezza che esiste una alternativa nel modo stesso di concepire la "forza", e quindi la risposta ai bisogni collettivi e comunitari di difesa e di sicurezza.

Dobbiamo essere in grado di proporre in modo convincente, un modo alternativo di difendersi, un'altra difesa possibile, basata sulla forza della cooperazione (il "potere con"), non sulla capacità organizzata di distruzione (il "potere su"). La difesa da un'aggressione armata andrebbe attuata da un intero popolo unito, se è libero e cooperante, con i mezzi umani e costruttivi della difesa popolare nonviolenta, che è già in sé stessa la vittoria sulla barbarie dell'avversario violento. La difesa popolare nonviolenta, DPN, non è un'utopia, ma una storia documentata di successi, ignorata dalla cinica politica di potenza e non di umanità. La DPN deve essere preparata nella società, nell'educazione, nella politica, fino a sostituire la difesa militare, gli eserciti, l'insania degli armamenti, la follia della deterrenza nucleare. La DPN è azione diffusa dalla base, possibile a tutti, anche ai corpi fisicamente deboli, non è prerogativa dei maschi "virili" (o di donne che vogliono essere riconosciute per "virtù virili"), usa mille tecniche, e richiede più coraggio e onore della difesa militare. E soprattutto richiede cervello sociale e coesione sociale al posto dei muscoli, anche dei muscoli tecnologici. Esige cioè la capacità intelligente che ha consentito alla specie umana di diventare predominante su questo pianeta. L'intelligenza ragionevole ora deve farsi egemonia, non dominio, con prudenza e discernimento, per trovare le vie della pace globale con la Natura come condizione della pace universale "giusta" tra i gruppi umani.


Per una campagna di impegno pubblico: obiezione al servizio militare e alle guerre per costruire una difesa alternativa

Alfonso Navarra – coordinatore dei Disarmisti esigenti - del Coorfinamento politico Campagna OSM-DPN (Lega obiettori di coscienza, sede in via Pichi,1 - Milano)

(dopo aver consultato Tonino Drago, già presidente del Comitato DCNANV)

Milano – 25 marzo 2024 (ultima proposta, versione 3

Primo paragrafo: TIRA ARIA DI RIPRISTINO DELLA NAJA, CON L'ITALIA AL CARRO DELLA GERMANIA

Secondo paragrafo: L'ITER STORICO GIURIDICO CHE HA PORTATO ALLA SOSPENSIONE DELLA LEVA OBBLIGATORIA

Terzo paragrafo: UNA RESPONSABILITA' COLLETTIVA E ISTITUZIONALE VERSO LA DIFESA NONVIOLENTA

Quarto paragrafo: L'ORGANIZZAZIONE E LA FORMAZIONE NECESSARIA ALL'ALTRA DIFESA POSSIBILE NELLA PRIMA FASE SPERIMENTALE

Quinto paragrafo: VERSO UN CORPO CIVILE DI PACE EUROPEO?

Sesto paragrafo: LA DICHIARAZIONE DI OBIEZIONE PREVENTIVA RISPETTO ALLA MININAJA


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Per una campagna di impegno pubblico: obiezione al servizio militare e alle guerre per costruire una difesa alternativa

Alfonso Navarra – coordinatore dei Disarmisti esigenti

(dopo aver consultato Tonino Drago, già presidente del Comitato DCNANV)

Milano– 25 marzo 2024 (ultima proposta, versione 3 )


TIRA ARIA DI RIPRISTINO DELLA NAJA, CON L'ITALIA AL CARRO DELLA GERMANIA

La lotta degli obiettori di coscienza, con 150 incarcerati circa nel corso degli anni, da Pietro Pinna in poi, è riuscita ad ottenere una conquista che ha effettivamente cambiato la vita della gente comune: il Servizio Civile Alternativo è stato riconosciuto come "difesa della patria" e la leva è stata sospesa (legge 226/2004).

Ma con la riforma Renzi del 2017 la prima finalità del servizio civile nazionale – la promozione della difesa non armata e non violenta - è divenuta, nel servizio ora denominato "universale", la sesta: questo cambiamento ha fatto seguito a una gestione, che noi antimilitaristi nonviolenti critichiamo, che ha rotto il legame tra il servizio civile e la difesa dello Stato.

Oggi, nel clima di giustificazione assoluta della guerra, seguito allo scoppio del conflitto in Ucraina, si organizza, in Europa e in Italia, la riattivazione della leva obbligatoria. Le motivazioni non sono tecniche perché gli eserciti oggi sono dotati di apparecchiature sempre più tecnologicamente avanzate, il cui impiego richiede tempi di addestramento lunghi, una pratica continua e personale adeguatamente specializzato, con costi spesso alti. La leva obbligatoria prevede invece un servizio della durata media di 9-18 mesi, un tempo spesso non sufficiente per rispondere alle attuali esigenze degli eserciti e che in generale non giustifica un elevato investimento monetario.

Il punto vero, per i militari confinati nel professionismo, è il consenso sociale alla guerra e all'impiego approvato dal parlamento della forza militare nella competizione di potenza. Bisogna rilanciare la mitologia del "guerriero" come "vero uomo" (e "vera donna" che ha acquisito i valori virili) ed il conflitto bellico come strumento efficace di risoluzione delle controversie internazionali, "continuazione della politica realistica con tutti i mezzi violenti necessari".

Proprio il 5 marzo, giornata ONU per il disarmo, la Von der Leyen, a capo della Commissione UE, ha lanciato un piano europeo per la produzione di armi. La necessità esplicitata è "combattere guerre ad alta intensità" attrezzando a tale scopo gli strumenti difensivi anche con un congruo aumento delle spese militari. La "pace" si difenderebbe preparando la guerra e gestendo dosati interventi armati, anche preventivi, che sconfiggano il nemico sul campo. Anche il disarmo esigerebbe un riarmo mirato in tutti i settori!

Non è in agenda, da parte dell'Europa, la necessità di costruire una difesa disarmata e nonviolenta basata sul servizio civile e una rete di corpi civili di pace che si distenda per l'intera UE e si metta al servizio dell'Umanità intera per il tramite dell'ONU.

Se siamo pacifisti seri, se crediamo, come Gandhi, che non ci sia una via alla pace, ma la pace sia la via, non possiamo assistere inerti alla militarizzazione dell'Europa e dobbiamo ribadire e testimoniare con forza che tutte le guerre sono, in partenza, sconfitte e nessuno di noi vuole più prepararsi a combatterle, meno che mai a vincerle, con la distruzione ineviabile che apportano.

In questa fase della nostra vita sociale e politica i media tendono a parlare con ostilità dell'obiezione di coscienza e preparano il terreno al ritorno dei bandi di arruolamento nelle Forze Armate.

Segnaliamo un titolo apparso su "la Repubblica" del 6 marzo del 2024: "Leva semi-obbligatoria. Germania, modello svedese in chiave anti-Russia". L'articolo è di Tonia Mastrobuoni.

Teniamo presente che la Germania fa da battistrada in Europa e quanto la giornalista scrive a proposito di questo Paese anticipa quanto accadrà in Italia.

"La Germania si prepara a reintrodurre la leva obbligatoria. O meglio: semi-obbligatoria, ispirata al modello svedese. Il ministro della difesa, Boris Pistorius, avrebbe incaricato i suoi uffici di preparare entro il primo aprile una proposta che renda la chiamata alle armi "rapidamente" realizzabile. Dinanzi ai venti di guerra che spirano sempre più forti dalla Russia, il politico socialdemocratico, che ha ventilato questa riforma sin dall'anno scorso, il servizio militare obbligatorio dovrebbe contribuire alla "resilienza complessiva dello Stato". (…)

L'anno scorso Pistorius aveva già lasciato intendere di avere in mente il "modello svedese": nel Paese scandinavo tutti gli studenti vengono esaminati alla fine del percorso scolastico perché ne venga testata l'idoneità. Successivamente l'esercito si rivolge miratamente a circa il 10% di ragazzi e ragazze per proporgli l'uniforme".

Secondo i media tedeschi, la percentuale del 10%, troppo alta, andrebbe ridotta per la Germania.

Il Sole 24 Ora del 15 marzo 2024 propone un articolo, a firma di Andrea Carli, intitolato: "Effetto guerra. ecco come Danimarca, Germania e Francia rafforzano la leva". Ma si parla anche dell'Italia in cui la Difesa, in attesa di sviluppi più consistenti, per l'intanto pensa ai riservisti da impiegare durante conflitti e crisi internazionali.

"In Italia il ministero della Difesa è al lavoro per una legge che riguarda l'introduzione di una riserva ausiliaria dello Stato, quindi delle Forze armate, composta da non oltre diecimila unità, come già auspicato dalla legge 119 del 2022, introdotta dal precedente governo Draghi, che nel 2022 forniva una delega all'esecutivo. La riserva - una volta reclutata, formata e periodicamente addestrata - potrebbe essere composta da ex militari o personale con determinate specifiche, impiegabile nei casi di necessità durante eventuali conflitti e crisi internazionali, non impiegati sul fronte dei teatri operativi ma per il supporto logistico e la cooperazione. Non sono esclusi interventi anche in caso di calamità come già avviene per i militari".

L'articolo riferisce di una proposta di legge presentata dal Presidente della Commissione Difesa della Camera, Nino Minardo (Lega - Salvini premier). Una riserva militare dovrebbe poter essere mobilitata rapidamente in caso di grave minaccia per la sicurezza del Paese o di stato d'emergenza.

"Stando alla proposta, i riservisti verrebbero attinti esclusivamente dal bacino dei cittadini italiani che hanno già prestato servizio come Volontari in Ferma Triennale (VFT) o Volontari in Ferma Iniziale (VFI) e che attualmente sono in congedo. Ciò consentirebbe di selezionare, su base volontaria, personale già formato e addestrato dalle Forze Armate. La riserva potrebbe essere mobilitata dal Governo sia in tempo di conflitto o di grave crisi suscettibili di ripercuotersi sulla sicurezza dello Stato, sia per la difesa dei confini nazionali, sia in caso di dichiarazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale da parte del Consiglio dei ministri. «Tuttavia - ha spiegato Minardo - la decisione di mobilitare la riserva non spetterebbe solo al governo in quanto andrebbe poi tempestivamente approvata dalle Camere per autorizzarla o respingerla in tempi estremamente brevi. In questa maniera contiamo di bilanciare la necessaria rapidità di mobilitazione con l'irrinunciabile centralità del Parlamento».

Da segnalare anche la proposta del presidente del Senato Ignazio La Russa di una mini-naja volontaria di 40 giorni. L'idea è di permettere di fare un'esperienza nelle forze armate ai giovani tra i 18 e i 25 anni. Una sorta di stage estivi nelle caserme, su base volontaria per chi vorrebbe "partecipare alla vita militare, nel corpo degli alpini o negli altri corpi, per avere un addestramento". Stando alle dichiarazioni di La Russa, la scelta potrebbe avere degli incentivi: "Punti per la maturità per tutti i tipi di scuola, una serie di incentivi per la laurea, come un esame in più o un vantaggio a livello di formazione, e un punteggio aggiuntivo per tutti i concorsi pubblici".

La militarizzazione delle scuole e dell'università è un aspetto di questa rincorsa ad imporre modelli di pensiero improntato a logiche e culture nazionaliste, guerrafondaie, di mera esaltazione di passati imperialisti e coloniali che agli occhi di studenti e studentesse moderne dovrebbe risultare incomprensibile.

Il governo Meloni non fa mistero di essere favorevole al ritorno di forme di leva obbligatoria. Ricordiamo i Paesi in Europa dove c'è ancora l'obbligo di servizio militare: Austria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Lituania e Svezia.

Vi sono anche proposte di servizio civile obbligatorio, arrivate sia dal centro-destra (o destra-centro), sia dal centro-sinistra. La loro giustificazione è la strumentalizzazione dell'articolo 52 della Costituzione che recita: "La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l'esercizio dei diritti politici".


L'ITER STORICO GIURIDICO CHE HA PORTATO ALLA SOSPENSIONE DELLA LEVA OBBLIGATORIA

Ripercorriamo ora brevemente, con l'aiuto di Wikipedia (non è il massimo, ma risparmia tempo agli scriventi), le tappe storiche che hanno portato alla disciplina dell'obiezione di coscienza, all'istituzione del servizio civile e quindi, nel 2005, alla sospensione della leva obbligatoria.

La legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento della obiezione di coscienza), è quella che per prima ammette (a collo storto: il Ministero della Difesa chiamava ufficialmente gli obiettori: "forza assente") l'obiezione di coscienza ed istituisce il servizio civile allora sostitutivo. Si tratta di un servizio obbligatorio, solo sostitutivo a quello militare per chi, risultato idoneo alla visita di leva, non vuole prestare servizio armato. Inizialmente il servizio civile obbligatorio aveva una durata maggiore rispetto al servizio militare, durata via via equiparata, mentre poi nei decenni successivi il rapporto fra il numero di persone che svolgevano i due tipi di servizio si dirigeva verso la parità: era un vero e proprio referendum annuale sulla partecipazione alla guerra, che andava a dichiarare la volontà negativa del popolo italiano verso coinvolgimenti bellici.

Anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha cominciato a prendere atto del cambiamento espresso da alcune parti dell'opinione pubblica: la sentenza n. 164 del 23 maggio 1985 ha stabilito il diritto del cittadino a servire la patria anche espletando un servizio civile, che è "di pari dignità" rispetto a quello armato. Dopo numerose (10) approvazioni da parte di un solo ramo del Parlamento (perché il governo cadeva), è stata approvata da ambedue i rami la legge 230/1998 che prima nel mondo (potenza dell'art. 11 della Costituzione: "L'italia ripudia la guerra…") riconosce l'obiettore a semplice domanda, istituisce il Servizio Civile come alternativo a quello militare e prevede la formazione e istruzione dei Serviziocivilisti ad una difesa, civile, non armata e non violenta.

Per quanto riguarda il periodo di ferma obbligatorio nelle forze armate italiane, nel secondo dopoguerra assistiamo a varie riduzioni, in parte anche dovute alla avversione crescente della società per la coscrizione obbligatoria.

Il 3 settembre 1999 il Consiglio dei ministri approvò il disegno di legge proposto dall'allora Ministro della difesa Carlo Scognamiglio, che - secondo la preoccupazione dei militari - doveva avviare il processo per giungere al superamento della coscrizione obbligatoria. Parallelamente, con la legge 20 ottobre 1999, n. 380, venne emanata una delega al governo finalizzata all'introduzione del servizio militare femminile volontario, consentendo così alle donne di arruolarsi come volontarie nelle forze armate italiane.

Il servizio civile nazionale volontario verrà istituito nel 2001 con la legge 6 marzo 2001, n. 64 che gli dà come prima finalità: "concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari".

La Corte costituzionale della Repubblica Italiana confermava inoltre il suo orientamento giurisprudenziale con la pronuncia della sentenza del 16 luglio 2004, n. 228, riguardo ad alcune questioni di legittimità costituzionale in merito al servizio civile, rimarcando ulteriormente che il dovere, sancito dalla Carta costituzionale, dei cittadini della difesa della patria potesse essere assolto in maniera equivalente con modalità diverse e/o estranee alla difesa militare. La sospensione venne infine anticipata con la legge 23 agosto 2004, n. 226. Il decreto del Ministero della Difesa del 20 settembre 2004 (emanato in attuazione dell'art. 11-bis del d.lgs. n. 215/2001) fissò al 30 settembre 2004 il termine delle visite di leva. Il successivo decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115 - convertito in legge 17 agosto 2005, n. 168 - introdusse infine la possibilità, a decorrere dal 1º luglio, per il personale in servizio espletante sia il servizio di leva sia il servizio civile sostitutivo, di poterne cessare anticipatamente la prestazione, con apposita domanda.

Fissiamo bene adesso che la disciplina vigente del servizio militare è tutta stata raccolta nel Testo Unico che prevede buona parte della legge 230/98. Si fa capo all'art. 52 della Costituzione italiana, che ne prevede l'obbligatorietà, ma solo nei modi e nei limiti previsti dalla legge. L'istituto del servizio militare attualmente è regolato, appunto, dal codice dell'ordinamento militare di cui al d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66.

Questo sintetico excursus storico-giuridico ci serve per ritornare al punto politico della riattualizzazione della obiezione di coscienza in rapporto alla situazione che stiamo vivendo di fronte ai precipizi bellici che si sono aperti con le nuove guerre in Ucraina e in Medio Oriente. Si tratta delle guerre più suscettibili di unificazione della "guerra mondiale a pezzetti" (copyright Papa Francesco) e di risucchio dell'Italia e dell'Europa, ingabbiate nell'Alleanza atlantica, in un conflitto armato ad alta intensità (fino ad un possibile scambio nucleare).

UNA RESPONSABILITA' COLLETTIVA E ISTITUZIONALE VERSO LA DIFESA NONVIOLENTA

Rispetto alla difesa nonviolenta e alla nostra iniziativa, è bene sottolineare che non intendiamo esprimere solo una volontà passiva di uscire dalla guerra, che lo Stato dovrebbe graziosamente concedere (nonostante l'articolo 53 della Costituzione) a persone che si rifiutano perché vogliono farsi i fatti propri. In sostanza lo Stato li tollererebbe perché persone non motivate, inutili alla difesa armata, incapaci, menefreghiste, "approfittatrici del sangue dei militari", senza solidarietà con la gente che subisce una guerra.

Questo, disgraziatamente, ci sembra l'atteggiamento individualistico più diffuso a livello europeo, a partire dalla Germania, dominato dal basso da una spinta politica sedicente "anarchica" sulla difesa nazionale. Siccome non riconoscono lo Stato, gli individualisti (spesso con la copertura ideologica dell'anarchismo) vogliono che in caso di difesa collettiva ci sia solo spontaneismo, senza nessuna collaborazione con lo Stato e nessuna pre-organizzazione su base volontaria e mirata ad obiettivi difensivi non violenti validi. Ad avviso dei proponenti questo individualismo spontaneistico è un atteggiamento irresponsabile, perché una emergenza deve essere preventivata e occorre darsi forme di autoorganizzazione preventiva. Visto che sentiamo più degli altri il problema della pace, dobbiamo, i pacifisti seri, dimostrare che ci abbiamo pensato bene per tempo anche a come tutelarla da chi intende offenderla e che per questo proponiamo forme alternative di difesa per noi e per tutta la collettività.

Questo è stato l'atteggiamento prevalente nella Campagna OSM-DPN e per questo siamo riusciti a vincere, senza l'aiuto ufficiale di alcun Partito, a modificare la struttura legale della difesa nazionale, introducendo l'obiezione di coscienza a domanda e la formazione alla Difesa Popolare Nonviolenta.

La difficoltà di oggi è che, da parte degli Enti serviziocivilisti, in una logica assistenzialistica (se va bene), ci si è per lo più buttati sulla dinamica da progettificio dispensatore di soldi costituita dal Servizio Civile volontario.

Allora tutto dipende dalla proposta politica POSITIVA che riusciamo a lanciare, sia pure con anche una dichiarazione di obiezione di coscienza volontaria personale.

Il pacifismo strumentale, per carità, è sempre meglio della passività rispetto al militarismo, e a maggior ragione preferibile alla adesione alle "mache" virtù guerresche" alla Putin o Zelensky, ma il nostro atteggiamento deve essere quello di promuovere un pacifismo "persuaso", idealmente motivato e responsabile.

Ecco, quindi, le proposte che avanziamo:

1) rivendicare che il Servizio Civile non deve essere compiuto da Enti privati secondo loro progetti di crescita specifica, perché questi Enti non potranno mai con un progetto annuale farsi carico della difesa alternativa: invece, per le sentenze della Corte Costituzionale e per le leggi istitutive il SC deve includere ALMENO IN PARTE un progetto (sia pure futuribile) proposto di DPN DALLO STATO; per cui il Contratto con il Serviziocivilista deve essere di tipo pubblico, così come è necessario per chi va a nome dello Stato italiano. non un contratto in più dei 45 contratti illegali (detti eufemisticamente "anomali)" esistenti in Italia, puro sfruttamento della manodopera giovanile ingannata e presa in giro dalla parola "volontariato". Qui la lotta è prima di tutto con gli appesantiti Enti di Servizio Civile, che così fanno da scudo ai militari. Si tratta di metterli con le spalle al muro. Magari iniziando con le nostre povere forze un ricorso giuridico sulla gestione truffaldina del Servizio Civile.

2) Fare riaprire L'ALBO DEGLI OBIETTORI di coscienza, perché non si tratta di cittadini a mezzo servizio, ma di cittadini che si vogliono incaricare della difesa civile nazionale (ma senza armi). Qui ci vuole una legge apposita, che però può essere anticipata da una/un SERVIZIOCIVILISTA CORAGGIOSA/O che faccia ricorso perché ha scelto il Servizio Civile proprio per la difesa alternativa della Patria che è la sua prima finalità e non gli/le fanno fare niente in proposito.

3) Chiedere che sia applicata la legge per cui tutti i Serviziocivilisti debbono essere istruiti e sperimentare (purtroppo con la Protezione Civile, che non ne ha voglia affatto) una DPN: c'è una iniziativa molto semplice: utilizzare il MANUALE DELLO STATO AUSTRIACO per gli obiettori di coscienza sulla DPN (1989).

4) Chiedere a Mattarella che è il Capo Supremo della difesa nazionale e che si sbraccia a parole per la pace, che nomini un suo CONSIGLIERE PER LA DPN, così come lo ha per l'operatività delle FF.AA.

5) Valorizzare l'avvenuta sperimentazione prevista dall'emendamento Marcon alla finanziaria 2013: INTERVENTI CIVILI DI PACE (erano previsti 500 Serviziocivilisti), che recentemente il Direttore dell'UNSC ha elogiato e prospettato da ripetere più in grande. Attualmente vi sono associazioni che hanno accumulato una rilevante esperienza internazionale. I tempi son maturi per richiedere che lo Stato rinnovi e regolamenti in positivo questo tipo di intervento, al di fuori del CIMIC (Collaborazione civili e militari) della NATO. Quest'ultimo è il punto discriminante anche tra noi militanti per la pace: molti accetterebbero compromessi di varia natura con i militari, pur di farsi accettare (vedi ad es. Il Centro Studi Difesa Civile di Roma) e farsi organizzare in maniera "efficace"(!?). Qui dobbiamo far leva sul sostegno della opinione pubblica. Perciò dobbiamo dettagliare la proposta in modo che sia comprensibile dalla gente e che non lasci equivoci con i militari armati. Tre possibilità: 1) amministrazione della pace (anche quella dell'ONU) sul campo (ad es. Papisca: ombusdam; Mascia i professionisti, come nel Servizio Civile tedesco); 2) testimonianza personale (accompagnamento di persone o di gruppi in pericolo); 3) testimonianza collettiva con progetti di pace in situazioni precise. È chiaro che solo le voci 1) e 3) permettono di passare dal micro al macro. Ma per farlo, occorrerebbe uno sforzo organizzativo (e teorico) tra le Associazioni per interagire in forze con l'Ufficio Servizio Civile, il Ministero Affari Esteri e i governi riceventi.

5) In particolare, collaborare con L'UFFICIO ONU DI BRINDISI che provvede alla logistica delle operazioni di Pace in mezzo mondo (Il Comune vicino di San Vito dei Normanni è pronto a presentare un progetto apposito di Servizio Civile per un grosso numero di Serviziocivilisti). Questo lavoro per la pace nel mondo evita gli sbarramenti che il Ministero Affari Esteri pone agli interventi di Serviziocivilisti in zone di guerra. Inoltre avrebbe un grosso impatto sull'opinione pubblica (l'ONU è d'accordo).

6) Prendere a modello la DIFESA NAZIONALE DELL'AUSTRIA, Paese neutrale, che la fa dirigere dal Ministero degli Interni, non da quello della Difesa.

7) Invitare i cittadini a versare UNA SOMMA SIMBOLICA, da detrarre dall'imponibile (in attesa della opzione fiscale che detrarrebbe dalla imposta) sulla voce Difesa alternativa del bilancio dell'Ufficio Naz. SC (versamento legale dal 1998) per far passare alla pratica questa politica. In tutti i casi versare il 5 per mille alle Associazioni che compiono interventi nonviolenti di pace all'estero. C'è anche un'altra possibilità. In passato la TAVOLA VALDESE, che non usa il finanziamento statale per sé stessa ma lo devolve ad opere sociali, ha finanziato varie iniziative di DPN. Allora chiedere alla Tavola Valdese di istituire una voce specifica della somma rivevuta dal suo 8 per mille intitolate "Finanziamento dei progetti di DNP" nella quale fare confluire tutti i contributi ricevuti che abbiano una lettera di accompagnamento che indica quella destinazione. E poi distribuire la somma di questa voce ai progetti sul tema DPN presentati da Enti ed Associazioni.

L'ORGANIZZAZIONE E LA FORMAZIONE NECESSARIA ALL'ALTRA DIFESA POSSIBILE NELLA PRIMA FASE SPERIMENTALE

Con la sperimentazione in atto in Italia, cui sono destinati pochi spiccioli e coinvolgente poche centinaia di giovani volontari, in realtà siamo ancora nella fase del micro-intervento pilota e non si ha in testa un modello generale di difesa alternativa che, nel transarmo, potrebbe "affiancare" la difesa militare, solo però se fosse una difesa difensiva coerente con l'art.11 della Costituzione.

Questo "affiancamento" sarebbe riferito, operativamente, solo alla situazione di uno stato di necessità che esigesse una legittima difesa da una aggressione armata straniera in atto oppure da un colpo di Stato in cui settori interni di forze armate, in combutta con élites reazionarie, si proponessero di rovesciare le istituzioni democratiche.

Dobbiamo realisticamente prendere atto che attualmente seguiamo, in ambito NATO, un modello offensivo e nuclearizzato. Dobbiamo perciò considerare non attuabile, al momento, un impianto generale di DPN, magari facente capo a un "Ministero della Pace".

Ma anche il micro-intervento, con un CCP di buona concezione, potrebbe prefigurare un modulo replicabile e sommabile per dispiegamenti di più ampia portata di quelli attuali. Non si dovrebbero più ammettere CCP formati da due giovani sbattuti all'altro capo del mondo, tra popolazioni amazzoniche, senza ad esempio un minimo di competenze antropologiche!

L'organismo nascente della DPN "sperimentale" dovrebbe poter contare:

  1. Su un istituto centrale di coordinamento e di formazione;

  2. Su una rete minimamente estesa e permanente di "operatori professionali" capaci di inserirsi come guide nei CCP o nei GAN sperimentali

  3. Su corpi composti al minimo da 15 giovani volontari e volontarie serviziocivilisti.

Gli organismi della difesa alternativa in via di formazione dovrebbero essere inquadrati in tre categorie:

1 – gruppi di azione nonviolenta (GAN) per i rapporti con i "loci" interni allo Stato;

2- corpi civili di pace (CCP) all'estero in sostegno a percorsi di risoluzione di conflitti;

3- ambasciate di pace all'estero.

Si ripete, a scanso di equivoci, che al momento, con il modello di difesa vigente, che è in realtà un modello di offesa, non esistono le condizioni per qualsiasi forma di collaborazione con il sistema militare, e che quindi la tattica, guardando alla strategia, deve puntare non solo alla autonomia, ma alla assoluta separatezza tra le istituzioni sperimentali della DPN nascente

Una sperimentazione seria di CCP fuori dei confini nazionali dovrebbe partire, con l'istituto statale avviato, 200 "quadri" professionali segnalati dalle ONG che hanno esperienza in interventi nonviolenti all'estero, almeno 3.000 giovani serviziocivilisti per anno, puntando su un inizio di 100 progetti pilota statali di durata almeno triennale, max quinquennale.

I "quadri", con contratto statale a tempo indeterminato, dovrebbero provenire prioritariamente dal mondo delle organizzazioni nonviolente "centenarie": IFOR, PBI, WILPF, WRI…

Dovrebbe poi essere avviata una sperimentazione di GAN sul territorio nazionale, che dovrebbe partire con altri 500 "quadri" professionali, ad animare altri 250 progetti pilota statali di durata triennale, con l'impiego di almeno 6.000 giovani.

La DPN dovrebbe, cioè, impegnare, nella fase aurorale e sperimentale del primo transarmo, quasi 1.000 "quadri" per quasi 10.000 giovani serviziocivilisti, cioè un decimo della forza lavoro impiegabile annualmente nel servizio civile.

La spesa per lo Stato potrebbe essere calcolata, annualmente, in un centinaio di milioni di euro:

  • 5 milioni di euro per l'istituto di alta formazione alla DPN

  • 25 milioni di euro per lo stipendio dei quadri

  • 60 milioni di euro per il compenso dei servizio civilisti

  • 10 milioni strutture e servizi vari ed eventuali

Non sembra eccessivo cominciare col chiedere meno di 1/300 di quanto l'Italia destina attualmente al bilancio della difesa!

L'istituto di formazione alla DPN potrebbe ricevere finanziamenti anche dalla possibilità data ai contribuenti di destinare una quota pari al sei per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, dovuta e liquidata dall'amministrazione finanziaria sulla base della dichiarazione annuale. A tal fine, per la destinazione delle relative somme è necessario che il contribuente, con opzione fiscale in sede di dichiarazione dei redditi, scelga di sostenere le spese per la Difesa civile non armata e nonviolenta. La formazione dei quadri della DPN richiede una comprensione approfondita dei principi della nonviolenza, della gestione costruttiva dei conflitti e della ricostruzione della fiducia e della comunità. I partecipanti dovrebbero essere preparati e disposti a pagare prezzi personali per l'interposizione nel conflitto.

Competenze di diritto internazionale, di scienza politica, di sociologia e antropologia sono indispensabili se si interviene all'estero per favorire la prevenzione dei conflitti armati, la riconciliazione, la mediazione, la promozione dei diritti umani, la solidarietà internazionale, l'educazione alla pace nel mondo, il dialogo interreligioso ed in particolare nelle aree a rischio di conflitto, in conflitto o post-conflitto.


VERSO UN CORPO CIVILE DI PACE EUROPEO?

È stata approvata, comunica l'eurodeputata del PD Patrizia Toia su Avvenire del 21 marzo 2024, la richiesta del parlamento europeo europeo per l'istituzione di un Corpo Civile Europeo di Pace. Al momento in cui si scrive, questa notizia non la si vede confermata sui siti ufficiali del Parlamento e dell'Unione Europea.

La risoluzione: "1) invita il Consiglio a procedere a una revisione completa delle missioni della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) dell'UE per valutare gli ambiti di applicazione, i mezzi disponibili, i risultati conseguiti e le carenze e convocare una conferenza pubblica per presentare le conclusioni, coinvolgendo ONG internazionali e attori non statali; 2) invita il Consiglio a lanciare un progetto per istituire un Corpo civile europeo di pace che riunisca le competenze degli attori istituzionali e non istituzionali in materia di prevenzione dei conflitti, nonché di risoluzione pacifica degli stessi e di riconciliazione, al fine di rendere più credibile, coerente, efficace, flessibile e visibile la gestione civile delle crisi da parte dell'UE".

Secondo la eurodeputata Toia ora spetterebbe ai governi muoversi perché la difesa europea sia coerente con il valore del "ripudio della guerra" con cui la UE è storicamente nata.

Qui c'è da stabilire che, contrariamente a quanto pensa il PD, e chi ne condivide la linea, il peso geopolitico dell'Europa va concepito nel suo ruolo di pace, non di potenza militare (cioè di potenza della "difesa comune"), e che è questo l'orizzonte cui si riferiva Alex Langer con la sua proposta originaria del 1995.

Josep Borrell in una risposta ad una interrogazione scritta ha detto sostanzialmente che spetta agli Stati membri fare il primo passo per concretizzare la proposta.

Nei testi delle relazioni annuali 2023 CFSP e CSDP, approvati dal Parlamento europeo a fine febbraio, è messo nero su bianco che "è necessario un approccio complessivo di costruzione della pace che coinvolga specialisti al fine di attuare misure concrete per la pace"; e che "le ONG svolgono attività cruciali volte a prevenire i conflitti e a risolverli pacificamente". Di qui la necessità di "sfruttare al meglio la loro esperienza".

In una conferenza stampa svolta a Roma il 10 gennaio 2024 abbiamo invitato a istituire un corpo civile europeo di pace. e cominciato a raccogliere adesioni sulla proposta.

La proposta dei Disarmisti esigenti è per un CCP europeo che sia indipendente dalla "Bussola strategica" della UE e dalla "Dichiarazione UE/NATO".

Dobbiamo – repetita iuvant- costruire le garanzie giuridiche dell'indipendenza del CCP europeo: per questo proponiamo di metterlo anche formalmente sotto la responsabilità del segretario generale dell'ONU.

La sottolineatura di indipendenza non è pleonastica se riferita allo stesso mondo pacifista: si pensi che il MEAN, progetto di 30 grandi organizzazioni cattoliche, propone il CCP europeo esplicitamente "a sostegno della resistenza armata ucraina"!

(Sappiamo, oltretutto, che questa "resistenza" si dispiega in una inaccettabile forma bellica che ha già portato praticamente alla quasi distruzione del bene territoriale e sociale che proclamava di voler conservare...)

Spetterà comunque alla prossima legislatura europea avviare questo lavoro con lo spirito di darsi da fare per costruire spazi di dialogo e riconciliazione tra i popoli. Questa dovrebbe essere la bandiera dell'Europa in un tempo che vede spalancarsi sotto i piedi il baratro di una grande guerra.

In conclusione: il dibattito in merito alle soluzioni più precise di CCP eeurpeo va aperto in vista e dopo le elezioni europee del giugno 2024.


LA DICHIARAZIONE DI OBIEZIONE PREVENTIVA RISPETTO ALLA MININAJA

Una obiezione di coscienza preventiva, dal punto di vista tecnico, dovrebbe essere una dichiarazione, da recapitare al Presidente della Repubblica in quanto capo delle Forze armate, di indisponibilità ad essere reclutati nei corpi militari, cominciando dal rifiuto di effettuare visite ai distretti, perché si rifiuta l'ipotesi stessa dell'essere coinvolti in una dinamica bellica, sia perché contrari all'uso delle armi, sia perché ci si rifiuta ad essere impiegati nella preparazione di una guerra, nelle condizioni contemporanee sempre ingiusta.

Noi chiediamo a Mattarella, presidente pro tempore, di prendere atto delle dichiarazioni di obiezione preventiva, e di provvedere a che siano rese visibili pubblicamente da parte dei responsabili governativi, in modo da poter diventare elemento attivo dello spazio pubblico e della politica italiana.

È importante che siano le organizzazioni dell'antimilitarismo nonviolento a promuovere la campagna e a responsabilizzarsi realizzando un sito che riporti l'elenco degli obiettori; ed è importante che le giovani e i giovani che vi aderiscono non lo facciano manifestando una semplice opinione, ma esprimendo un meditato e capitinamente "persuaso" impegno di voler essere dichiarato obiettore di coscienza alle guerre e al servizio militare che prepara le guerre.

Stiamo riprendendo una idea che a suo tempo fu lanciata dalla Campagna OSM-DPN. Un assenso di massima dei promotori per la ripresa, su basi revisionate e aggiornate, della loro iniziativa, lo abbiamo già ottenuto.

Un facsimile di lettera andrà concepito e redatto; ed è forse utile che esso sia articolato in una prima parte generale e una parte più personale.

La parte generale potrebbe essere così presentata e illustrata:

"Signor Presidente, le scrivo la presente per dichiararmi obiettore di tutte le guerre e della preparazione delle guerre mediante il servizio militare nello strumento militare italiano. L'ingabbiamento delle nostre forze armate nelle attuali strategie NATO non consente di attuare il "ripudio della guerra" stabilito nell'articolo 11 della nostra Costituzione. Tanto più che condivido pienamente l'opinione dell'antimilitarismo nonviolento, ribadita autorevolmente anche da Papa Francesco: "Oggi non esistono guerre giuste". L'aria che tira è quella di un ripristino di forme di mini-naja. In relazione a questa eventualità comunico da subito che, qualora dovessi ricevere la chiamata a presentarmi presso un ufficio militare preposto all'arruolamento, la mia risposta sarà un bel "Signornò!" antimilitarista. Non mi presenterò alla visita militare che dovrà verificare la mia idoneità. Mi avvarrò del diritto universale umano di chiedere, per obbedienza alla coscienza, di adempiere agli obblighi di leva prestando, in sostituzione del servizio militare, un servizio civile orientato alla difesa nonviolenta e quindi rispondente come il servizio armato al dovere costituzionale di difesa della Patria. Ritengo doveroso da parte dello Stato organizzare la mia formazione ed il mio inquadramento dentro un Corpo civile di pace, possibilmente europeo per attuare l'impegno istituzionale dell'ONU alla sicurezza comune dell'Umanità. Tenendo presente che presso l'Ufficio Nazionale Servizio Civile esiste per legge un elenco degli obiettori italiani alla Guerra per motivi di coscienza, chiedo che Ella rammenti al Ministro Crosetto che deve aggiornare tale elenco con il mio nome e che deve rendere pubblico tale elenco generale, essendo l'obiezione alla guerra un atto pubblico".

Per lanciare la campagna dovremo individuare una serie di organizzazioni pacifiste promotrici: chiaramente tra quelle che ritengono prioritario non supportare le guerre in Ucraina e nel Medio Oriente con aiuti e interventi militari; ed un gruppo di avvocati che facciano da retroterra e supporto giuridico, anche promuovendo le azioni legali necessarie.

Nostra responsabilità di Disarmisti esigenti & partners però non sarà di fare da semplice sponda a un rifiuto emotivo ed individualistico della guerra, da "pacifismo strumentale" (pur preferibile rispetto al militarismo e al nazionalismo ideologici); ma di promuovere la consapevolezza che esiste una alternativa nel modo stesso di concepire la "forza", e quindi la risposta ai bisogni collettivi e comunitari di difesa e di sicurezza.

Dobbiamo essere in grado di proporre in modo convincente, un modo alternativo di difendersi, un'altra difesa possibile, basata sulla forza della cooperazione (il "potere con"), non sulla capacità organizzata di distruzione (il "potere su"). La difesa da un'aggressione armata andrebbe attuata da un intero popolo unito, se è libero e cooperante, con i mezzi umani e costruttivi della difesa popolare nonviolenta, che è già in sé stessa la vittoria sulla barbarie dell'avversario violento. La difesa popolare nonviolenta, DPN, non è un'utopia, ma una storia documentata di successi, ignorata dalla cinica politica di potenza e non di umanità. La DPN deve essere preparata nella società, nell'educazione, nella politica, fino a sostituire la difesa militare, gli eserciti, l'insania degli armamenti, la follia della deterrenza nucleare. La DPN è azione diffusa dalla base, possibile a tutti, anche ai corpi fisicamente deboli, non è prerogativa dei maschi "virili" (o di donne che vogliono essere riconosciute per "virtù virili"), usa mille tecniche, e richiede più coraggio e onore della difesa militare. E soprattutto richiede cervello sociale e coesione sociale al posto dei muscoli, anche dei muscoli tecnologici. Esige, cioè, la capacità intelligente che ha consentito alla specie umana di diventare predominante su questo pianeta. L'intelligenza ragionevole ora deve farsi egemonia, non dominio, con prudenza e discernimento, per trovare le vie della pace globale con la Natura come condizione della pace universale "giusta" tra i gruppi umani.

Un articolo che può completare molte nozioni utilizzate è l'anticipazione allegata che uscirà su QUADERNI DELLA DECRESCITA il primo maggio 2024.

Il link alla rivista online diretta da Paolo Cacciari e Marco Deriu : https://quadernidelladecrescita.it/


La nonviolenza è la forza delle relazioni autentiche


Autore: Alfonso Navarra*


*Antimilitarista nonviolento "storico", varie detenzioni in carcere per disobbedienze civili. Autore di libri sulla follia del nucleare civile e militare. Attualmente animatore di: Lega obiettori di coscienza (WAR RESISTERS INTERNATIONAL) e Lega per il Disarmo unilaterale (DISARMISTI ESIGENTI). Membro ICAN, campagna premio Nobel per la pace 2017.


Abstract: La guerra combattuta dall'Ucraina ha riportato in auge i valori presunti virili dell'eroismo bellico, visti come suprema manifestazione del sacro dovere di difendere la Patria e il diritto internazionale. La nonviolenza efficace è, nella visione dello scrivente, il cammino alternativo che dobbiamo imparare a percorrere. Il tentativo è quello di una difesa basata sulla forza dell'unione popolare che sappia scompaginare e spezzare le catene di comando del potere militarista invasore. La forza delle relazioni autentiche alla base della unione popolare, a ben considerarla, è anche il principio ecofemminista per combattere e superare il potere patriarcale e ogni forma di potere oppressivo. È la forza della spinta vitale che, secondo Hannah Arendt, trova il suo senso non nella morte ma nella nascita; e nel dato di fatto che si nasce tutti da corpo di donna, fino a che – dobbiamo evitarlo! - la Tecnocrazia non stravolgerà questa fondamentale condizione dell'essere umano.


Sommario: Guerra mai giusta, legittima difesa armata forse - La difesa, attraverso il "transarmo", dall'organizzazione militare alla modalità di resistenza popolare nonviolenta - Transarmo e Disarmo unilaterale presuppongono la nonviolenza come "forza" - La forza della nonviolenza è radicata nell'istinto vitale, quindi nel principio della nascita e nella "terrestrità"


Parole chiave: Nonviolenza, potere, ecofemminismo


Guerra mai giusta, legittima difesa armata forse


Papa Francesco è oggi un inevitabile termine di confronto per i ragionamenti, che si andranno a sviluppare nel presente articolo, sulla efficacia della nonviolenza contro il Potere armato. In particolare, il Santo Padre sostiene, al pari dei grandi maestri della nonviolenza, la tesi, ovvia per la cultura nonviolenta, ma scandalosa per il mondo cattolico, che le guerre giuste non esistono. Dalla stampa apprendiamo quanto avrebbe ribadito il Pontefice anche il giorno del Natale 2023: «Dire sì al Principe della pace significa dire no alla guerra, e questo con coraggio: dire no a ogni guerra, alla logica stessa della guerra, viaggio senza meta, sconfitta senza vincitori, follia senza scuse».

(Lo si legge sul quotidiano Il FOGLIO del 29 dicembre 2023 in un articolo a firma di Claudio Cerasa intitolato: Caro Papa, la guerra giusta esiste).

Gran parte delle argomentazioni che saranno squadernate su questa linea sovversiva - che non fa differenza tra la guerra portata avanti tra chi aggredisce e la guerra portata avanti da chi si difende - sono già contenute nel pamphlet che porta il titolo: Antifascismo e nonviolenza. Il sottoscritto è tra i suoi autori, e il libro fu pubblicato da Mimesis edizioni nel 2017. Il volumetto accoglieva l'incitamento del partigiano francese Stéphane Hessel: «La nonviolenza è il cammino che dobbiamo imparare a percorrere». Hessel con Esigete il disarmo nucleare totale, scritto a quattro mani con Albert Jacquard, e con l'edizione italiana del 2014, curata ancora dal sottoscritto, insieme a Mario Agostinelli e Luigi Mosca, per i tipi della Ediesse, era già stato ispiratore del progetto politico dei Disarmisti esigenti, promosso dalla Lega per il disarmo unilaterale, fondata da Carlo Cassola. Lo scrivente ricopre il ruolo di attuale segretario della L.D.U., Lega per il disarmo unilaterale, appunto. Nel testo del 2017 si cercava di tradurre in concreto l'istanza dell'attualità della Resistenza al nazifascismo, anche con i suoi programmi sociali di economia alternativa. La nuova Resistenza, che ancora oggi si ritiene necessaria contro l'élite della globalizzazione finanziaria, si realizza tramite un'opposizione, consapevole e organizzata, basata sulla forza dell'unione popolare alle minacce che attentano alla vita dell'unica famiglia umana. Si trattava e si tratta di sopravvivere a inevitabili conflitti armati transnazionali, alla catastrofe ambientale causata dal riscaldamento climatico, ai disastri sociali provocati dalla disuguaglianza capitalistica.

Sullo striscione che, come Disarmisti esigenti & partners, dal 5 novembre 2022, portiamo in piazza a Roma ogniqualvolta governo e Parlamento decidono gli aiuti militari a Kiev, si riporta, appunto, l'importante detto, già citato, di Papa Francesco: «Oggi non esistono guerre giuste». Ecco le altre frasi riportate sullo striscione, in cui campeggia la scritta «NONVIOLENZA»: «Fermate subito i combattimenti, intervenga l'ONU per negoziare una tregua e prevenire una escalation nucleare». Ancora: «Custodiamo, esseri umani cooperanti, la Terra sofferente». E ovviamente: «Riconvochiamoci, quando si vota in Parlamento, per protestare contro l'invio di nuove armi all'esercito ucraino».

Lo striscione era accompagnato da un volantino. Lo distribuiamo ancora oggi, immutato da più di un anno, dopo essere scesi a digiunare e presidiare nei momenti in cui sono stati reiterati i "decreti legge ombrello" e gli otto pacchetti di aiuti militari da essi autorizzati tramite Dpcm amministrativi scavalcanti il Parlamento.

«Le armi tacciano, perciò non siano apparecchiate per chi dà loro la parola. Non le si fornisca, da parte dell'Italia, ai russi e nemmeno le si fornisca all'esercito ucraino, che non siamo affatto obbligati a sostenere se vogliamo sostenere il popolo ucraino. La differenza, ci segnalano i sondaggi, il popolo italiano l'ha colta, quando per il 75% manifesta contrarietà al coinvolgimento armato anche indiretto dell'Italia nella guerra in corso. (…) Non vogliamo alimentare il mostro orrendo della guerra. Non un cannone, non un soldo, non un soldato per essa! L'umanità deve porre fine alle guerre o saranno le guerre, sarà questa guerra, a porre fine all'umanità! (…) Siamo in piazza con lo spirito di dare innanzitutto voce alla maggioranza inascoltata del popolo italiano: stop, appunto, all'invio delle armi, fine delle sanzioni, disarmo atomico a partire dalla ratifica del Trattato di proibizione delle armi nucleari con il conseguente ritiro dalla condivisione nucleare NATO, apertura di spazi percorribili per la soluzione politica della guerra in Ucraina, immediata connessione tra "fine del mese" e "fine del mondo". La lotta alla guerra, in parole povere, va agganciata alle conseguenze in termini di crisi economica e deterioramento delle condizioni di esistenza, carovita e carobollette, crisi energetica e crisi alimentare».

Quali sono i motivi per cui la "giustizia" oggi, ammesso che mai lo sia stata in passato, non ha nulla più a che fare con la guerra, come diciamo, in accordo con il Papa, nel volantino che continuiamo a distribuire nei presidi contro l'invio delle armi a Kiev? Per cui, ad esempio dal punto di vista della tradizionale dottrina cattolica elaborata da Sant'Agostino nel IV secolo, non si può mai considerare la guerra uno strumento applicabile secondo il criterio della proporzionalità (pur ammettendo "una giusta causa, un intento corretto, un uso delle armi come ultima risorsa, una ragionevole speranza di successo nell'attacco")?

Ne richiamiamo due principali. Primo. Qualsiasi impiego di armi oggi, stante il loro sviluppo tecnologico e le loro modalità di impiego, danneggia più gli innocenti civili estranei che gli implicati direttamente nel conflitto, e danneggia la Terra, cioè il corpo vivente di tutti gli umani. Secondo. Non possiamo non sapere, oggi, che esiste l'alternativa efficace dei metodi di resistenza nonviolenta.

Papa Francesco, partendo da questa condanna di tutte le guerre, che di per sé sarebbero tutte sbagliate, poi è arrivato a questa elaborazione che, noi attivisti disarmisti, avevamo già esposto nel citato: Antifascismo e nonviolenza. La guerra non è mai "giusta" ma può talvolta essere "necessaria" una "legittima difesa". Anche armata, in talune circostanze, quando ci si trova, senza averlo potuto prevenire, in uno "stato di necessità". Che in questo articolo ovviamente intendiamo in un senso più generale (e generico), adattato a grandi contesti e non a rapporti privati, rispetto a quanto si può ad esempio ricavare dalla giurisprudenza italiana con riferimento all'art. 54 del codice penale. Cioè, guardiamo a una situazione di emergenza che, per tutelare la salute, la vita o la sicurezza di una collettività sotto minaccia reale o credibilmente putativa, esige una reazione al di fuori delle normali regole giuridiche e comportamentali.

Questa formulazione, che può sembrare a prima vista contraddittoria, non è proprio il contrario della giustificazione della guerra?

La contraddizione è infatti rimuovibile se si sa distinguere tra resistenza armata in forma di guerra, risposta militare temporanea ad una aggressione armata in atto e resistenza armata in forma di guerriglia. Mai la legittima difesa, dettata da uno stato di necessità, che talvolta può essere costretta ad assumere la forma di una resistenza armata, nella modalità ad esempio di una guerriglia, deve essere esercitata nella forma, nella modalità della guerra permanente ad alta intensità!

Con l'aiuto del generale Fabio Mini possiamo riuscire a inquadrare la differenza tra guerra e guerriglia. Il generale Mini è un esperto di forme belliche e ha scritto diversi libri sull'argomento, tra cui La guerra spiegata a… e Che guerra sarà. La differenza tra guerra e guerriglia è che la guerra è un conflitto armato tra due o più belligeranti che si affrontano in modo convenzionale, con truppe regolari, armi pesanti e strategie definite, mentre la guerriglia è una forma di lotta armata condotta da parte di gruppi irregolari che evitano scontri diretti con il nemico e preferiscono attacchi improvvisi, sabotaggi e azioni di disturbo, sfruttando la mobilità, la conoscenza del territorio e il sostegno della popolazione locale (di cui può essere diretta espressione).

Ovviamente per rendere meno drammatiche le opzioni che si presentano nello stato di necessità, cioè impiego dell'esercito in funzione temporanea di risposta a una aggressione militare in atto, ricorso alla guerriglia, mobilitazione popolare disarmata alla Primavera di Praga, bisogna creare un contesto politico-sociale migliore con l'azione preventiva.

La legittima difesa avrà tanta più possibilità di essere esercitata in una modalità nonviolenta efficace quanto più si sarà preparato prima il terreno a indebolire le strutture del sistema di guerra.

Tutto ciò tenendo bene a mente l'analisi operata da Marco Deriu, che - citando lo storico americano Gabriel Kolko – argomenta sull'impossibilità del controllo razionale e pianificato della violenza e della guerra. La critica della Hybris dei governanti è sviluppata nel suo articolo, pubblicato nella rivista online Quaderni della decrescita, n.0/1, settembre dicembre 2023, intitolato: "Demilitarizzare il nostro immaginario (e prendersi cura della vulnerabilità reciproca)".

La lotta alla guerra si fa innanzitutto con la prevenzione – una strategia ed una azione preventive - che combatte il sistema di guerra e radica, con il programma costruttivo, l'alternativa di una società strutturalmente pacifica.

La prevenzione deve evitare che si presentino crisi in forma drammatica, e comunque permette di gestire queste crisi con un alto tasso di risposta nonviolenta.

Per questo la prevenzione, oltre a una politica estera pacifica che oggi deve puntare a una cooperazione internazionale sui problemi globali della umanità con spirito di giustizia e di "terrestrità", deve anche consistere nella "difesa popolare nonviolenta", da predisporre e organizzare immediatamente già in tempo di pace.

Lo strumento principale di questa prevenzione è un servizio civile giovanile orientato alla promozione della difesa civile non armata e nonviolenta.

Non lavorare su come è stata distorta la nostra conquista, di antimilitaristi e disarmisti organizzati nella Lega obiettori di coscienza, del servizio civile, per raddrizzare la sua situazione "degenerata": ecco una espressione del massimalismo parolaio da "guerra alla guerra" (che magari finisce con il votare i crediti di guerra!), con cui abbiamo da fare i conti in maniera ricorrente, che poi rende la forza della nonviolenza inefficace nelle concrete circostanze storiche...


La difesa, attraverso il "transarmo", dall'organizzazione militare alla modalità di resistenza popolare nonviolenta


La proposta del "transarmo" è di tutta la ricerca della pace, ma l'idea originaria è dello scomparso di recente (17 febbraio 2024) Johan Galtung, il sociologo norvegese considerato tra gli inventori del campo di studi, sorto in antitesi alla "polemologia", indicati con i termini "peace studies" e "peace research". Le sue pubblicazioni sono numerose, in italiano per lo più dalle Edizioni Gruppo Abele, come Ambiente, sviluppo e attività militare (1984), Gandhi oggi (1987), La trasformazione nonviolenta dei conflitti (2000) e il più recente Affrontare il conflitto. Trascendere e trasformare, edito da Pisa University Press (2008).

È comunque sempre importante ricordare che Galtung non fu solo un ricercatore accademico ma un grande esperto pratico di mediazione dei conflitti in oltre un centinaio di situazioni internazionali, spesso con successo.

Il "transarmo" è stato un concetto da lui proposto negli anni '80, che si basava sull'idea di sostituire la difesa militare armata con una difesa civile non violenta, ispirata alle dottrine strategiche di paesi neutrali come Svizzera e Svezia (questa ultima però è recentissimamente, questo marzo, diventata il 32esimo Stato membro della NATO). Secondo Galtung, il "transarmo" era una strategia per superare l'approccio militare al principio di sicurezza e per creare le condizioni per un disarmo generalizzato e duraturo. Il "transarmo" si inseriva nel paradigma di sperimentazione per la trasformazione dei conflitti con strumenti pacifici, che Galtung aveva teorizzato fin dagli anni '60.

La proposta del "transarmo" consiste nel passaggio progressivo dalla difesa offensiva alla difesa difensiva, ovvero alla difesa non militare, attraverso modalità di minima distruttività, in caso di un attacco a territori o istituzioni che non si è potuto evitare con altre soluzioni. Questo tipo di difesa è anche materia delle ricerche italiane di studiosi come Giuliano Pontara, Giovanni Salio (detto Nanni), Alberto L'Abate, Antonino Drago, Matteo Soccio e lo stesso Norberto Bobbio.

Il "transarmo", secondo i soggetti che vi hanno lavorato teoricamente e politicamente, e la Lega Obiettori di Coscienza (LOC) rientra tra questi, si pone fra il riarmo e il disarmo, in opposizione al primo, e transizione verso il secondo. Siamo stati sempre consapevoli che esso comporta un mutamento profondo della dottrina di sicurezza militare costituendo l'effettiva premessa per un reale e duraturo disarmo generalizzato: non si limita a proporre la demolizione dei sistemi d'arma, lasciando inalterato il meccanismo che li genera, ma modifica il punto di vista sugli stessi presupposti del sistema di guerra.

Appare chiaro che il concetto così concepito racchiude un piano di lavoro. Punta a una difesa civile non violenta che, con la maturazione di tutta la società possa sostituirsi alla difesa militare armata. La critica dell'apparato industriale bellico è accompagnata a quella dei caposaldi psichici, morali, ideologici, e religiosi, della cultura di violenza e di guerra. Il focus dell'intervento è la dissoluzione dei legami tra profitto e guerra, e la dismissione sia di economie accumulatorie e predatorie che producono conflitti, sia della pratica organizzata della violenza per la preservazione di assetti egemonici o l'imposizione di volontà di dominio. In ultima analisi, per poter disarmare, bisogna approntare e costruire modelli diversi per la convivenza umana, "società strutturalmente pacifiche".

In questo progetto è utile richiamare l'approccio teorico che ha portato Galtung a inquadrare il "Triangolo della violenza", comprendente tre tipi di violenza interdipendenti: la violenza diretta, la violenza strutturale (ingiustizia, segregazione, emarginazione) e la violenza culturale o simbolica, impregnata di pregiudizi, sessismo, razzismo. Il "Triangolo della violenza" è utile per fondare la distinzione tra "pace negativa" e "pace positiva", cioè la cooperazione a vantaggio di tutti, su basi di eguaglianza. A proposito del curare la violenza, Galtung sviluppa, anche per un manuale delle Nazioni Unite, il Metodo Trascend. Questo prevede tre fasi di lavoro per l'analisi del conflitto e la ricerca delle soluzioni, così riassunte da Alberto L'Abate in un articolo del 2013 pubblicato su Inchiesta online (si vada al link. https://www.inchiestaonline.it/culture-e-religioni/alberto-labate-il-contributo-di-johan-galtung-alla-teoria-ed-alla-pratica-della-pace-e-della-nonviolenza/): 1) Dialogo con tutti (anche con quelli che vengono considerati i "cattivi", e perciò non affidabili) per capire i loro obbiettivi, le loro preoccupazioni e le loro paure, ed ottenerne la fiducia; 2) Distinguere tra obiettivi legittimi ed illegittimi a seconda che vadano a favore o contro i bisogni umani fondamentali. La legittimità è basata sul principio che, se desideriamo qualche cosa dagli altri dobbiamo essere disponibili a concederla anche noi; 3) Rompere la distanza tra tutti gli obbiettivi legittimi, ma in contrasto reciproco, con soluzioni accettabili da tutti e sostenibili (questo attraverso la creatività, l'empatia e la nonviolenza).

Teorici ed insieme sperimentatori pratici importanti della "difesa popolare nonviolenta" e del suo rapporto con la "difesa militare difensiva" all'interno del "transarmo", sono Theodor Ebert e Gene Sharp. Essi ovviamente partono dai due mostri sacri della nonviolenza: il Mahatma Gandhi e Martin Luther King. Il leader indiano Gandhi è considerato il principale teorico/pratico della nonviolenza capace di andare oltre la dimensione etica per attingere l'efficacia politica. Ha guidato il movimento per l'indipendenza dell'India attraverso metodi di resistenza e di disobbedienza civile di massa, inquadrati in una strategia di non collaborazione attiva.

Il leader del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, Martin Luther King, ha adottato la filosofia della nonviolenza di Gandhi. Ha guidato, sempre con l'inquadramento nella non collaborazione attiva, proteste pacifiche, marce e discorsi per combattere la segregazione razziale e promuovere l'uguaglianza sociale.

La difesa popolare nonviolenta. Un'alternativa democratica alla difesa militare è la traduzione italiana di un libro di Theodor Ebert, docente di scienze politiche presso la Libera Università di Berlino, pubblicato nel 1984 dalle Edizioni Gruppo Abele. Il testo completo del libro è scaricabile al seguente link: https://www.obiezionedicoscienza.org/wp-content/uploads/Difesa_popolare_nonviolenta.pdf

L'opera, come indica il titolo, è rivolta a indagare la possibilità di una resistenza nonviolenta in alternativa alla condotta tradizionale della guerra. Si tratta di uno studio tecnico su come una difesa non armata può sostituire l'attuale difesa armata, e di come tale nuova difesa può essere attuata dall'intero corpo sociale. L'obiettivo del testo è molto preciso: è una proposta per le società democratiche di "una politica democratica per la sicurezza", basata sulla tesi che «le democrazie possono essere sicure anche senza armi, quando i loro cittadini sono in grado di attuare la resistenza civile». È la proposta per le democrazie di una politica della difesa coerente con i loro principi.

Gene Sharp, spesso definito come "il Machiavelli della nonviolenza, morto nel 2018, fu il fondatore, nel 1983, dell'Albert Einstein Institute. Con i suoi libri, ed il suo lavoro formativo, ha influenzato molti movimenti di resistenza nonviolenta in tutto il mondo, sfociati in particolare nelle cosiddette "rivoluzioni colorate" nei Paesi ex URSS ed ex Jugoslavia. Ha sviluppato una serie di principi e strategie per sfidare il potere senza violenza che, da esse rivoluzioni adottate, le ha fatto accusare di essere state, con il loro ideatore, strumentalizzate dalla CIA.

Sharp, rispondendo a queste critiche, ha invece affermato come la sua opera sia funzionale alla creazione ed analisi di un insieme di tattiche, cioè, siano strumenti di lotta adoperabili da chiunque ne comprenda la funzionalità e l'efficacia.

«L'azione non violenta è una tecnica per condurre conflitti, al pari della guerra, del governo parlamentare, della guerriglia. Questa tecnica usa metodi psicologici, sociali, economici e politici. Essa è stata usata per obiettivi vari, sia "buoni" che "cattivi"; sia per provocare il cambiamento dei governi sia per supportare i governi in carica contro attacchi esterni. Il suo utilizzo è unicamente responsabilità e prerogativa delle persone che decidono di utilizzarlo».

(La citazione la si trova al seguente link: https://web.archive.org/web/20080114114842/https://www.aeinstein.org/CORRECTIONS.pdf)

Fondamentali i tre volumi, ancora disponibili (www.serenoregis.org), Politica dell'azione nonviolenta (vol. 1 Potere e lotta; 2. Le tecniche; 3. La dinamica), tradotti nelle Edizioni Gruppo Abele. Il suo libretto Liberatevi! (addeditore, 2011), entrava nella serie di grande diffusione aperta da Stephane Hessel, Indignatevi! (idem), proseguita da Pietro Ingrao, Edgar Morin, Luciana Castellina.

Verso un'Europa inconquistabile, pubblicato dalle Edizioni Gruppo Abele nel 1989, è basato sul concetto di fondo sharpiano del potere non come oggetto monolitico ma come insieme di apparati che condensano relazioni sociali in rapporti di comando/obbedienza, dominio/subordinazione. Se il potere deriva dal consenso dei soggetti ad esso sottoposti, l'azione nonviolenta che lo rivoluziona è un processo di ritiro del consenso, un rifiuto da parte dei soggetti di obbedire. In altre parole, il potere dei governanti si basa sulla volontà dei cittadini di obbedire alle loro leggi e istituzioni. L'azione non violenta cerca di persuadere le persone a cambiare o prevenire determinate azioni utilizzando metodi psicologici, sociali, economici e politici.


Transarmo e Disarmo unilaterale presuppongono la nonviolenza come "forza"


Lo scrivente è iscritto alla Lega per il disarmo unilaterale, fondata da Carlo Cassola nel 1978, dal 1981; e ne è il segretario in carica, mentre la carica di presidente è ricoperta dalla vedova dello scrittore, Pola Natali Cassola. È quindi da più di 40 anni che frequento il concetto cardine che Cassola espose in vari scritti e libri, tra i quali si consiglia La rivoluzione disarmista, edito nel 1983 nella collana BUR della Rizzoli. Un concetto che, "patriotticamente", Cassola cercò di applicare al suo Paese con la campagna per il disarmo unilaterale dell'Italia.

I concetti di transarmo e di disarmo unilaterale sono strettamente correlati, ma non identici. Il transarmo è, come si è spiegato, una strategia di difesa civile nonviolenta che mira a creare un'alternativa alla difesa militare, cioè a organizzare una difesa collettiva e democratica che possa sostituirsi alla difesa armata. Il disarmo unilaterale è una forma di disarmo che consiste nel ridurre o limitare gli armamenti di un solo stato o gruppo sociale, senza coinvolgere prima gli altri, ma per decisione indipendente.

Il transarmo si basa sul principio della nonviolenza come forza, che implica la resistenza disarmata a colpi di Stato e invasioni; e la costruzione di relazioni di pace con l'avversario. Il disarmo unilaterale, invece, va visto come una forma di applicazione coerente del principio antimilitarista, che può anche essere dissociato dalla nonviolenza.

Transarmo e disarmo unilaterale si oppongono entrambi alla guerra, ma in teoria il secondo può farvi ricorso – alla violenza praticata nella "guerra rivoluzionaria" - per ottenere, dal basso, lo scioglimento dell'apparato militare. Storicamente antimilitaristi come i comunisti di inizio 1900 ritenevano inevitabile il ricorso alla "violenza rivoluzionaria", se dobbiamo ad esempio richiamare lo slogan leninista di "trasformare la guerra imperialista in guerra civile".

La Lega per il disarmo unilaterale, sotto la segreteria dello scrivente, si definisce una organizzazione nonviolenta, cioè una organizzazione di antimilitarismo nonviolento. Una organizzazione che mette insieme antimilitarismo e nonviolenza, quindi transarmo e disarmo unilaterale portati avanti concordemente, come strategia che adotta una nonviolenza pragmatica e si richiama a un antimilitarismo non assoluto nel suo percorso graduale, necessariamente a tappe.

L'antimilitarismo si propone di eliminare tutti gli eserciti per eliminare la guerra ma questo problema va risolto facendo i conti con la pratica storica, dentro una realtà di rapporti di forza che consideri l'unione popolare come fattore che può causare, con l'impatto dell'azione collettiva organizzata, trasformazioni significative, anzi determinanti, degli assetti e delle relazioni sociali.

La "forza", secondo la nonviolenza, non è solo la forza armata, come ad esempio è implicito nelle formulazioni delle carte dell'ONU. È il potere della cooperazione sociale fondata su relazioni il più possibili libere e autentiche. "Potere con", non "potere su": più avanti torneremo sulla distinzione, pezzo forte del pensiero ecofemminista.

Secondo Gandhi, la nonviolenza è una "forza" specifica individuabile come satyagraha, ossia "fermezza nella verità". In senso letterale si dovrebbe partire dal termine sanscrito "ahimsa", cioè assenza del desiderio di uccidere o danneggiare il prossimo, scrivendola senza trattino al fine di rimarcare l'aspetto propositivo e non il semplice rifiuto della violenza. (In Italia è stato il fondatore del Movimento Nonviolento Aldo Capitini a suggerire di scrivere la parola senza il trattino separatore).

Satyagraha come termine preferibile ad ahimsa inquadrava meglio, secondo Gandhi, la nonviolenza non come "resistenza passiva" ma come "resistenza attiva" contro il male. E tale termine deriva dalla distinzione tra la "nonviolenza del debole" (di chi non ricorre alle armi per pura viltà) dalla "nonviolenza del forte" (di chi può usare la violenza, ma preferisce ricorrere alla forza morale dell'individuo e della collettività); solo la seconda era per Gandhi vera nonviolenza (senza trattino) e satyagraha.

Per Martin Luther King la forza della nonviolenza era invece il potere dell'amore: «Ma quando parlo d'amore non parlo di una debole e sentimentale corresponsione. Parlo di quella forza che tutte le grandi religioni hanno considerato come il supremo elemento unificatore della vita».

Nel citato Antifascismo e nonviolenza la definizione di nonviolenza che avanzo è quella di "forza dell'unione popolare": e fin qui saremmo dentro la concezione sharpiana dello strumento tecnico di azione sociale contro il Potere. Ma aggiungo anche: "alla ricerca di verità e giustizia". Perché bisogna contemplare, oltre alle tecniche di obiezione, di boicottaggio, di disobbedienza, oltre all'elemento strategico della noncollaborazione attiva, anche l'elemento finalistico del "trasformare i nemici in amici" e l'elemento ideale/etico del rispetto del prossimo, dell'umanità e della Natura. E qui siamo chiaramente oltre Gene Sharp.

La forza della nonviolenza è la capacità della società umana organizzata democraticamente di contrapporsi, con la sua cooperazione programmata, alle istituzioni/catene di comando, o di dominio/sottomissione, che costituiscono il sistema di potere elitario. La nonviolenza di cui parlo non è, allora, quella "etica", "antica come le montagne", espressa nei comandamenti individuali del "non uccidere" o "porgere l'altra guancia". La nonviolenza come "forza dell'unione popolare" è innestata su un agire collettivo politico pianificato e organizzato, bene appoggiata sul "principio di responsabilità" (si veda la sua versione aggiornata in Hans Jonas).

La nonviolenza efficace è capace di risolvere in modo determinante i conflitti politici reali secondo una strategia che sa trasformare i gruppi umani "nemici" in gruppi umani "amici"; e nelle condizioni della situazione politica contemporanea, viene a coincidere nei "progressi del diritto internazionale": cioè, nella creazione di un ordine globale che faccia prevalere la forza del diritto (e dei diritti) sul diritto della forza (armata).

Il "diritto internazionale" di cui parliamo è, ovviamente, quello della "terrestrità", che deve riconoscere i diritti dell'Umanità, vista come insieme unico, e non come singoli popoli, e della Natura anche essa considerata come ecosistema globale, il Pianeta Terra come unico organismo vivente.

Per comprendere meglio il concetto di nonviolenza come forza dell'unione popolare, quindi come forza della cooperazione, forza delle relazioni umane, è allora utile rifarsi alla distinzione tra "potere su" (potere come sostantivo) e "potere con" (potere come verbo, capacità di agire e trasformare dell'azione collettiva), elaborata in particolare dal pensiero ecofemminista.

Il pensiero ecofemminista si basa sull'idea che esista una connessione tra la dominazione della natura, lo sfruttamento sociale e l'oppressione delle donne, e che sia necessario contrastare il dominio capitalistico e patriarcale per creare una società più giusta ed ecologica.

Tra le più note esponenti dell'ecofemminismo a livello mondiale si citano: Vandana Shiva, Judith Butler, Carolyn Merchant. Tra le esponenti italiane: Laura Cima, Antonella Nappi.

Il "potere su" è il tipo di potere, definito da un sostantivo, che si esercita sfruttando, controllando, sottomettendo o distruggendo qualcosa o qualcuno. È il potere che caratterizza il sistema patriarcale e capitalista, che si basa sulla logica della competizione, dell'individualismo, dell'accumulazione e della violenza. Il "potere su" si manifesta nella subordinazione delle donne, nella oppressione dei lavoratori, nella colonizzazione dei popoli, nello sfruttamento degli animali e nell'abuso delle risorse naturali.

Il "potere con", definito da un verbo, è il tipo di potere che si esercita cooperando, condividendo, rispettando o valorizzando qualcosa o qualcuno. È il potere che caratterizza la visione ecofemminista, che si basa sulla logica della solidarietà, della comunità, della cura e della pace. Il "potere con" si manifesta nella collaborazione tra donne, nella unione delle lavoratrici e dei lavoratori, nella decolonizzazione dei saperi, nella liberazione degli animali e nella tutela dell'ambiente.

La differenza tra "potere su" e "potere con" è quindi fondamentale per comprendere e trasformare le relazioni tra esseri umani e tra esseri umani e natura, secondo la prospettiva ecofemminista. L'obiettivo è quello di superare il modello di "potere su", che genera ingiustizia e distruzione, e promuovere il modello di "potere con", che genera giustizia e rigenerazione.

In questa linea una elaborazione che lo scrivente si propone di studiare e analizzare con la dovuta attenzione è quella di Judith Butler, che ha visto pubblicato in Italia, nel 2020, per i tipi di Nottetempo, La forza della nonviolenza. Un vincolo etico-politico. Nel libro citato, la Butler critica le posizioni che ammettono, in alcuni casi e con determinate finalità, la violenza come strumento per combattere la violenza stessa e, allo stesso tempo, la concezione per cui la nonviolenza sarebbe una scelta morale individuale caratterizzata dalla passività. E fin qui nulla di nuovo. La sua operazione teorica pone come centrale lo smontaggio della distinzione biopolitica tra vite degne di lutto − dunque meritevoli di essere preservate e difese − e vite dispensabili – per questioni razziali, identitarie, collegate al gender o di altro tipo. Questa distinzione connette la violenza all'esperienza della disuguaglianza; di conseguenza, la nonviolenza non può che essere una pratica collettiva di contestazione delle disuguaglianze, del tutto sganciata da un approccio individualista. Recuperando − analiticamente e criticamente − Foucault, Fanon, Gandhi, Benjamin e, tra gli altri, soprattutto Freud e Klein, Butler delinea così un'idea di nonviolenza che, prendendo coscienza e sovvertendo attivamente le forme di aggressività che caratterizzano il sé e i suoi legami sociali, fondi una tattica politica tutt'altro che passiva, una forza in grado di contrastare la violenza che pervade la società contemporanea. Questa forza esprime atti di ribellione ma senza distruttività, un vincolo etico e politico che sia tutt'uno con le lotte condotte dai movimenti che ogni giorno si battono per l'interdipendenza, l'uguaglianza e la giustizia sociale.


La forza della nonviolenza è radicata nell'istinto vitale, quindi nel principio della nascita e nella "terrestrità"


Il potere (potere su) non è un oggetto ma è fatto di rapporti asimmetrici tra persone, organizzate in un sistema di istituzioni ispirate, nel nucleo duro, dal principio gerarchico., dove alcuni (pochi) comandano e i più eseguono gli ordini ricevuti "dall'alto", in catene "verticali" di trasmissione di questi comandi. Il contro-potere (potere con) è la cooperazione "dal basso" che manifesta costruttività, non oppressione, in legami "orizzontali" paritari, che esprimono relazioni "autentiche" tra persone "libere".

Le istituzioni del sistema di potere hanno un diverso grado di coercizione e per lo più non penalizzano con la costrizione fisica se l'aspetto del dominio è in esse prevalente: in questo caso le istruzioni cogenti sono emanate dai superiori nella scala gerarchica in forme diverse, come prescrizioni, disposizioni; giù giù come richieste autorevoli, eccetera…

Quello che comunque va capito è che la violenza non è la vera fonte del potere politico, ma la relazione che si stabilisce tra persone per tenere insieme un ordine sociale riconosciuto come legittimo. E qui ritorniamo alla critica, influenzata da Gramsci e dal suo concetto di "egemonia",

di quella che Gene Sharp in Potere e lotta chiama "teoria monolitica del Potere".

Il potere non è monolitico, compatto, ma è fragile e frazionato; non è indipendente né un'emanazione di pochi che stanno al vertice ma nasce da molte parti della società (i "loci" del potere) e quindi il controllo più efficace può aver luogo alle sue fonti. Chi detiene il potere deve avere la possibilità di dirigere e indirizzare altre persone, contare su risorse umane e ambientali, disporre di un apparato di coercizione e repressione e di una amministrazione burocratica. E questa capacità di dominio è un potere che dipende dalla società che glielo concede, nella misura in cui glielo concede. Alle radici dell'esistenza e della forza del potere politico c'è la collaborazione di varie istituzioni, gruppi e persone nelle loro relazioni reciproche. Il problema del potere è capire come abbia avuto origine, come si sia formata, sviluppata e conservata l'obbedienza spontanea. Le risposte in proposito possono essere molte: "l'abitudine" all'obbedienza, "la paura delle sanzioni", le pressioni sociali ed economiche, il condizionamento mentale del sottoposto per via di propaganda...

Sharp argomenta che nonostante gli incentivi, le pressioni, i condizionamenti, l'obbedienza rimane essenzialmente un fatto di volontà, si può sempre scegliere, come persone e gruppi di persone, di obbedire o di disobbedire.

Una società in cui esistono gruppi e istituzioni sociali che possiedono un potere sociale significativo e sono capaci di azioni indipendenti, è maggiormente in grado di controllare il potere organizzato nelle istituzioni formalmente deputate ad esso. Sharp chiama questi gruppi "loci", luoghi di potere, cioè luoghi che esprimono, a livello decentrato, un proprio potere (che può diventare contro-potere): famiglia, gruppi sociali, religiosi, politici, culturali, sindacati, organizzazioni volontarie, enti locali. Se questi gruppi e istituzioni sono forti, ed hanno un loro grado di autonomia, rendono forte a loro volta la società civile con i vari soggetti sociali, fino ai singoli cittadini.

Questo significa che è necessario sempre operare per il decentramento e la diffusione del potere in modo che il potenziale di potere dei governanti non aumenti a spese della società e dei cittadini governati. Ma questo processo non avverrà mai dall'alto, poiché è possibile solo se agisce dal basso attraverso l'iniziativa libera dei cittadini. È la nonviolenza attiva, più rispondente a questa tipologia di azione, che permette agli uomini di contrastare e sottrarsi al dominio dei violenti, di affermare la propria indipendenza e la dignità della persona. La nonviolenza è iniziativa, sfida, coraggio, lotta e non accetta paura, passività, vigliaccheria, sottomissione. Unendosi dal basso contro il "potente", questo diventa un uomo qualsiasi, perché il sistema di potere a cui si poggia si disarticola, si spezza e si disgrega, nella misura in cui i suoi "dominati" hanno rifiutato l'obbedienza.

Ma da dove nasce questa idea, che è più di una speranza, che la nonviolenza sia una forza potente, capace di prevalere sul potere violento?

Si è razionalmente argomentato sulla debolezza del potere, che è fatto di relazioni condensate in istituzioni che possono essere disobbedite. Ma cosa spinge alla ribellione, se non l'amore per la libertà, e quindi al rispetto della vita, che tende verso la libertà, di cui tutti gli esseri umani si sentono, alla fin fine parte?

I legami reciproci tra gli esseri umani e tra i gruppi umani possono essere improntati alla paura della morte e di chi può dispensare la morte. E queste relazioni possiamo definirle "inautentiche". Ma esistono anche le "relazioni autentiche", quelle tra persone libere, che non vogliono né essere dominate né dominare, che agiscono secondo la propria volontà autodeterminata, definita e chiarita in un dialogo paritario, nel rispetto dei propri valori e principi, resistendo alle ingiuste costrizioni esterne. Queste persone hanno la responsabilità di valutare l'impatto che le proprie azioni concordate possono avere sugli altri, sulla società e sull'insieme della Natura, che è il contesto imprescindibile in cui si svolge l'attività umana. .

Questa libertà, naturalmente ispirata al principio di responsabilità, oggi la dobbiamo associare al valore del rispetto della vita, che arriva a comprendere la coscienza di fare parte di un unico ecosistema vivente. Lo scrivente, per dare una risposta alla preoccupazione di guidare le azioni individuali e particolari in modo che siano allineate con principi etici universali e contribuiscano al bene comune, in proposito ha coniato una particolare accezione del termine "terrestrità" che è sviluppata nel volume Memoria e Futuro, curato insieme a Fabrizio Cracolici e Laura Tussi, edito dalla Mimesis nel 2021.

Come si precisa a pag. 57, per "terrestrità" si deve intendere la dimensione complessiva in base alla quale «gli esseri umani appartengono alla comunità della vita e alla Terra – Terra Madre – unico ecosistema globale di viventi e non viventi». Il riferimento seguito è quello indicato da Edgar Morin quando, nel 2013, segnala lo sviluppo di «un sentimento di appartenenza alla comunità, a ciò che chiamo «Terra-Patria». […] «Terra-Patria» non significa che le comunità nazionali ed etniche debbano essere dissolte: l'umanità deve preservare la sua diversità producendo unità» (p. 57).

La terrestrità ha tre gambe: la prima l'appartenenza umana all'ecosistema globale ("Sono gli esseri umani ad appartenere alla Terra, non è la Terra di proprietà degli esseri umani"), la seconda è l'internazionalismo che fa unica l'umanità; e la terza è il costituzionalismo globale, ad esempio quello di Luigi Ferrajoli, che troviamo esposto nel suo Per una Costituzione della Terra, edito da Feltrinelli nel 2022.

Da "Terra Patria" a "Terra Matria", con le costituzioni della Madre Terra (esempio: Ecuador, Bolivia) che confluiscono in una unica Costituzione della Terra, il passo può essere breve. E la pista su cui questo passo può essere percorso è l'evento della nascita come senso della vita, come indicato da Hannah Arendt, in quanto – essa vita - non è tensione verso la morte, simboleggiata dalla fine, ma proiezione verso lo sviluppo di nuove possibilità, rappresentata dall'inizio (che possiamo anche immaginare su scala cosmica: il Big Bang, l'origine dell'Universo).

Soltanto la Arendt, considerando l'intero pensiero occidentale, ha avuto la genialità di incentrare l'umana libertà, diciamo pure "la facoltà dell'azione", nel "fatto della natalità", e quindi, per quanto riguarda la nostra specie umana, dell'essere nati da donna, come si andrà più avanti a specificare, citando Rosella Prezzo, filosofa e femminista. Ciò che dà senso alla vita umana è solo la libertà, caratteristica della vita che crea, nella terminologia della scienza fisica, ordine contro il disordine; ed è essa che impedisce che il mondo e la vita stessa si riducano ad un deterministico fluire verso una assoluta entropia: solo la libertà, data dalla nascita, è in grado di introdurre nel mondo un elemento di novità, un imprevisto, una sorpresa, capaci di sottrarci al dominio della necessità, e quindi alla prevalenza della morte, ed al potere fondato sulla morte.

Siamo indotti ad agire, e ad agire liberamente, secondo la Arendt, proprio perché, grazie alla nascita, in quanto esseri umani, siamo initium, nuovi venuti, iniziatori.

La definizione che più si addice agli uomini non è, allora, quella di "mortali", ma piuttosto quella di "natali", "coloro che nascono". (E nascono tutti da donna, uomini, donne e quant'altro). In questo modo, quasi per una sottile ironia della sorte, la categoria della natalità diventa fondamentale proprio nel pensiero dell'allieva e dell'amante di Martin Heidegger, l'inventore dell'"essere per la morte".

In Trame di nascita, un percorso tra miti e dogmi, tra paure e utopie (Moretti&Vitali, 2023), Rosella Prezzo, riflettendo su voci come quella di Hannah Arendt, si chiede se nell'epoca della riproduzione tecnica la nascita non abbia perso valore e significato. «Perché la dimensione biologica dell'umano e dei suoi limiti ci sembrano arretrati. Fantastichiamo di postumano, mentre da madre-Natura siamo passati a madre-Macchina, e siamo arrivati allo strapotere tecnologico sul corpo delle donne».

L'unica esperienza che gli esseri umani necessariamente condividono – quella di essere "comuni natali" - è bene non farsela sequestrare da una evoluzione tecnologica al servizio del "Potere su".

La "libera volpe nel libero pollaio" (si cita Che Guevara) è una trappola in cui sono spesso caduti movimenti con illusioni finto-libertarie (esempi: radio-TV negli anni Ottanta e Internet comunità anarchica negli anni Novanta). La cultura della nonviolenza può insegnarci che la libertà non va confusa con l'assenza di regole. Il motto che "una cattiva ONU è meglio di nessuna ONU, una cattiva Europa è meglio di nessuna Europa, una cattiva legge è meglio di nessuna legge", può essere tradotto con la necessità di capire e rispettare i limiti che la Natura ci impone: l'invito è a non cercare di realizzare un mondo in cui tutti i sogni possano diventare immediata realtà traducendosi nei peggiori incubi e violenze.


Riferimenti bibliografici


Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano (1988)


Judith Butler, La forza della nonviolenza. Un vincolo etico-politico, Nottetempo, Milano (2020)


Carlo Cassola, La rivoluzione disarmista, BUR Rizzoli, Milano (1983)


Theodor Ebert, La difesa popolare nonviolenta. Un'alternativa democratica alla difesa militare, EGA, Torino (2022)


Luigi Ferrajoli, Per una Costituzione della Terra, Feltrinelli, Milano (2022)


Johan Galtung, Ambiente, sviluppo e attività militare, EGA, Torino (1984)


Johan Galtung, Gandhi oggi, EGA, Torino, (1987)


Johan Galtung, La trasformazione nonviolenta dei conflitti, EGA, Torino (2000)


Johan Galtung, Affrontare il conflitto. Trascendere e trasformare, Pisa University Press, Pisa (2014)


Stéphane Hessel, Albert Jacquard, Agostinelli Mario (cur.), Mosca Luigi (cur.), Navarra Alfonso (cur.), Esigete il disarmo nucleare totale, Ediesse, Roma (2014)


Alberto L'Abate, L'arte della pace, Quaderni Satyagraha n. 26, Centro Gandhi Edizioni, Pisa (2014)


Fabio Mini, La guerra spiegata a…, Einaudi, Torino (2013)


Fabio Mini, Che guerra sarà, il Mulino, Bologna (2017)


Edgar Morin, Anne B. Kern, Terra-Patria, Raffaello Cortina Editore, Milano (1994)


Alfonso Navarra, Laura Tussi, Antifascismo e nonviolenza, Mimesis, Sesto San Giovanni (MI), (2017)


Alfonso Navarra, Laura Tussi, Fabrizio Cracolici (a cura di) Memoria e Futuro, Mimesis, Sesto San Giovanni (MI), (2017)


Papa Francesco, Un'enciclica sulla pace in Ucraina, TS Edizioni, Milano (2022)


Quaderni della Decrescita, n. 0/1, settembre-dicembre 2023


Rosella Prezzo, Trame di nascita, un percorso tra miti e dogmi, tra paure e utopie, Moretti&Vitali, Bergamo, (2023)


Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta. Vol. 1 Potere e lotta, EGA, Torino (1985)


Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta. Vol. 2 Le tecniche, EGA, Torino (1986)


Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta. Vol. 3 La dinamica, EGA, Torino (2001)


Gene Sharp, Verso un'Europa inconquistabile, EGA, Torino (1989)


Gene Sharp, Liberatevi! Azioni e strategie per sconfiggere le dittature, Add editore, Torino (2011)

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