Guerra alla guerra? Occhio al pacifismo burocratico e opportunistico. Chi non conosce il passato è condannato a ripeterlo!

24.01.2024

dal sito GLI INTERNAZIONALISTI - 

https://www.leftcom.org/it/articles/2003-12-01/parte-prima-la-seconda-internazionale-e-la-guerra

(La Seconda Internazionale è stata un'organizzazione internazionale fondata nel 1889 a Parigi dai partiti socialisti e laburisti europei. Tra le sue azioni più famose c'è la proclamazione del 1º maggio come giornata internazionale dei lavoratori - ndr).

Nell'esperienza della Seconda internazionale dei partiti socialisti e laburisti, nonostante i dissidi interni, sul problema della guerra esisteva una certa omogeneità di posizioni all'interno del suo massimo organo politico.

Così risulta dai documenti dell'epoca stilati a fronte degli atteggiamenti sempre più aggressivi dell'imperialismo in fase espansiva, che indussero lo stesso partito internazionale del proletariato ad anticipare il già annunciato congresso straordinario; congresso che si tenne nel 1912 a Basilea.

La risoluzione sulla guerra, conosciuta meglio come il Manifesto dell'Internazionale, pur lasciando irrisolta la questione sui mezzi da usare per fare la "guerra alla guerra", contribuì a chiarire la natura imperialistica di qualsiasi conflitto che da lì in avanti si fosse potuto manifestare. Soprattutto metteva in evidenza ciò che questo conflitto avrebbe sicuramente potuto provocare: "l'indignazione e la collera del proletariato di tutti i paesi" e una conseguente "esplosione rivoluzionaria".

Si legge nel testo della risoluzione:

"Gli operai considerano un crimine spararsi gli uni contro gli altri per il profitto dei capitalisti o per l'orgoglio delle dinastie o per le clausole dei trattati segreti. Se i governi, sopprimendo ogni possibilità di un'evoluzione regolare, spingono il proletariato dì tutta l'Europa a soluzioni disperate, sono loro che porteranno tutta la responsabilità di una crisi da essi stessi provocata".

Il congresso si chiuse con l'impegno dell'Internazionale a moltiplicarsi suoi sforzi per prevenire la guerra con "una propaganda sempre più intensa, con una protesta sempre più ferma".

Effettivamente, nei mesi che seguirono, tutti i partiti socialisti sostenuti dai sindacati si mostrarono pronti a seguire alla lettera le decisioni di Basilea e a metterle in pratica. Nel dicembre 1912 imponenti manifestazioni operaie contro la guerra ebbero luogo in tutta Europa a fronte di una situazione che si aggravava sempre di più (crisi dei Balcani). Ma più si avvicinava lo spettro della guerra tanto meno l'Internazionale sembrava disposta a continuare nell'offensiva entusiastica che da Basilea in poi aveva caratterizzato la propria azione politica.

Si cominciò a titubare; a considerare la guerra come un pericolo scongiurato in tutto o in parte o come prospettiva remota. Si cominciarono a modificare anche i programmi che, da una più che mai decisa azione contro la guerra, si tramutarono lentamente in una sorta di programmi minimi, più "realistici", che prevedevano l'opposizione alla corsa agli armamenti e all'aumento dei movimenti militaristi e sciovinisti in Francia e in Germania, "contribuendo con ciò al riavvicinamento dei due paesi" (preludio al "grande programma... rivoluzionario" dell'unione delle tre grandi potenze occidentali: Francia, Inghilterra e Germania!).

Ecco dunque la nuova formula proposta dall'Internazionale nella primavera del 1913 e che restò il suo obiettivo sino al luglio del 1914; una vera e propria svolta che annunciava un nuovo orientamento nella politica socialista internazionale, sempre più influenzata dal revisionismo di Bernstein [] e dal riformismo divenuto dominante tanto sul piano dottrinale quanto sul piano della pratica politica.

Non bastò l'azione di una decisa minoranza rivoluzionaria (che all'interno dell'Internazionale parlava con la voce di Liebknecht, di Rosa Luxembourg e di Lenin in particolare), la quale non chiedeva "solo" un ritorno alle origini ma, soprattutto, una nuova linea risolutamente rivoluzionaria, tesa ad invertire tale linea di tendenza.

Di fronte al precipitare degli avvenimenti, l'Internazionale finse un ultimo colpo di coda. Ma il Bureau Socialiste International si riuniva senza riuscire a prendere una benché minima decisione. Una crisi gravissima, come contraccolpo di ciò che all'esterno stava succedendo, colpi l'Internazionale che laconicamente doveva dichiarare bancarotta. Una breve circolare, l'ultima, annunciava: "In seguito agli ultimi avvenimenti il Congresso di Parigi è aggiornato a data da stabilirsi".

Un lungo processo dì deterioramento giungeva alla fine; la guerra trascinava nella sua vampata distruttiva, assieme all'organizzazione mondiale del proletariato, anche la classe operaia internazionale.

(Le stesse classi dominanti non credettero ai propri occhi) quando il 4 agosto del 1914 a Vienna, Berlino, Parigi e Londra, ossia da ambo i lati dei fronti bellici, i partiti socialisti, unanimamente, votarono l'approvazione della politica di guerra e i crediti militari ai rispettivi governi. I socialisti parlamentari non solo non trovarono una sola parola di opposizione, non solo non trovarono niente da dire al proletariato se non della giustezza degli ordini dì guerra delle proprie borghesie, ma ebbero il coraggio di entrare in quei governi passati alla storia con il nome di "unione sacra". Fu il caso di Vandervelde (segretario belga dell'Internazionale) e dei socialisti francesi indifferenti alla recentissima uccisione di Jaurès (31 luglio 1914) ad opera dei nazionalisti.

In Inghilterra i laburisti appoggiarono pienamente la guerra mentre titubante si mantenne il Partito Socialista Britannico.(...)

In Russia, tra i vari gruppi alla Duma (il parlamento zarista) i bolscevichi presero una fiera posizione di opposizione alla guerra dandosi all'agitazione in tutto il paese (per questo furono quasi tutti spediti in Siberia). Una parte, la peggiore, dei menscevichi, dei socialisti rivoluzionari e del populisti votò i crediti di guerra. Gli altri, pur non macchiandosi di tanta infamia, tennero un comportamento politico ambiguo. (...)

Cosa avvenne invece in Italia? Il partito italiano fu, a livello internazionale (a parte le eccezioni di cui sopra), quello "meno invischiato" nella politica di guerra della borghesia. Prima della guerra tutta la compagine direttiva del socialismo italiano si pose il problema "come impedire la guerra?". Di fronte all'avvicinarsi dell'evento bellico il problema si spostava verso il "come comportarsi?" nel caso in cui la borghesia, "per fedeltà agli impegni" fosse "costretta" a prenderne parte.

Riformisti e "socialisti moderati" (Turati in testa) scelsero la parola d'ordine dell'insurrezione rivoluzionaria. Lo stesso Mussolini, allora direttore dell'Avanti! levò il grido "abbasso la guerra" dalle colonne dell'organo di stampa del partito e si rivolse minaccioso alla borghesia con la frase: "Mobilitate! Noi ricorriamo alla forza!". La direzione del PSI lanciò a sua volta un manifesto ai lavoratori in cui si invitava il proletariato a prepararsi a sempre nuove "prove di forza".

Tutto ciò avveniva allorquando si pensava ancora ad una guerra contro la Francia. Quando per l'Italia divenne invece scontata la sua appartenenza al fronte dell'Intesa (Francia, Russia e Gran Bretagna), tutta la verve rivoluzionaria dei nostri socialisti si spense in considerazione del fatto che la Germania, contro cui si sarebbe dovuto combattere, non era... la Francia (in virtù del suo spiccato militarismo). Si puntualizzò così la differenza fra guerre di "difesa" e guerre di "aggressione", accettando nei fatti la logica stessa, quella imperialistica, da cui il conflitto si andava generando.

Il fronte dei partiti in Italia s'era così diviso in due. Da una parte i "neutralisti", dall'altra gli "interventisti". I veri oppositori alla guerra non erano un partito, erano una frazione, una minoranza pur vivace e combattiva che tentava in tutti i modi di tener desto il sentimento rivoluzionario nella coscienza delle masse proletarie.

All'interno del Partito Socialista, per la corrente di sinistra la consegna era questa: all'ordine della mobilitazione rispondere con lo sciopero generale nazionale. Era questa sinistra che, da sola, portava avanti la parola d'ordine leninista del disfattismo rivoluzionario, ossia della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, in guerra fra le classi per l'abbattimento del dominio del capitalismo.

Il partito socialista nel suo complesso ondeggiava; si andava cosi ad elaborare quella tattica di cui maggiore teorizzatore ed interprete fu Lazzari, sintetizzata dalla frase "né aderire, né sabotare", che nella fattispecie della situazione nessun altro significato rivestiva se non quello di invitare il proletariato ad accettare, di fatto, quella guerra come il minore dei mali, come un evento che, malgrado tutti gli sforzi, non si era riusciti ad evitare. (...)

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