No al nucleare militare... e "civile"!

La crisi nucleare iraniana: ipocrisia del TNP e nuove prospettive per il disarmo

Riflessioni con riferimento alle analisi e alle proposte presentate a New York (3MSP) dai Disarmisti esigenti

(di Alfonso Navarra, con l'aiuto di ricerche Google e Gemini. Si sollecitano osservazioni critiche sul rapporto. Una nuova stesura lo arricchirà di note esplicative).

Questi problemi faranno parte della discussione online che i Disarmisti esigenti organizzano, nell'ambito di STOP REARM EUROPE, per il 27 giugno, dalle ore 17:00 alle ore 20:00.
SI partecipa andando al seguente link:
https://us06web.zoom.us/j/88436423243?pwd=xQj2ANitRlkZTSRn9vDgbqxV4fMQQV.1

VERSIONE BREVE DEL RAPPORTO

Sommario

La recente escalation della vicenda nucleare iraniana, culminata con gli attacchi (criminali!) agli impianti nucleari del regime autocratico degli ayatollah, ha messo in evidenza le profonde tensioni e le percepite incongruenze del sistema globale di non proliferazione nucleare. Questa situazione funge da microcosmo delle sfide sistemiche che il regime di non proliferazione globale deve affrontare, evidenziando le tensioni intrinseche tra i pilastri del Trattato di Non Proliferazione (TNP) e l'urgente necessità di rinnovati sforzi diplomatici. Il presente articolo analizza la traiettoria storica del programma nucleare iraniano, le realtà tecniche dell'arricchimento dell'uranio e il ruolo dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA). Esamina criticamente il TNP, sottolineando le sue debolezze strutturali e l'insoddisfazione per il mancato progresso nel disarmo. Uno degli aspetti centrali della "truffa" del TNP sarebbe quello di avere legittimato gli arsenali delle potenze nucleari in cambio del "diritto" degli Stati firmatari a sviluppare l'"atomo di pace" (sic!) con l'aiuto delle suddette potenze. Vengono poi esplorati il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) come alternativa normativa ("pilastro") e la politica di "No First Use" (NFU) come misura per ridurre il rischio di conflitto nucleare. Il quadro complessivo rivela un sistema di governance nucleare internazionale in crisi e sotto forte pressione, dove le ambizioni nazionali, le dinamiche di deterrenza e le aspirazioni al disarmo si scontrano, rendendo imperativa una ristrutturazione degli approcci (un ribaltamento!) per garantire la sicurezza globale dal punto di vista della sopravvivenza dell'umanità.

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Introduzione: La crisi nucleare iraniana e il paesaggio in evoluzione della Non-Proliferazione

Il programma nucleare iraniano rappresenta da decenni una fonte persistente di preoccupazione e tensione a livello internazionale. Si può discutere, rispetto all'arsenale israeliano (rivelato e documentato da Vanunu nel 1986) dei due pesi e delle due misure, ma la situazione è questa. Si è arrivati a un punto critico in questi giorni, con gli attacchi (criminali!) agli impianti nucleari iraniani. In particolare, il 13 giugno 2025, Israele ha lanciato l'operazione "Rising Lion", un'offensiva militare che ha colpito diverse infrastrutture nucleari e missilistiche iraniane, inclusi siti chiave come Natanz. Successivamente sono entrati in gioco gli Stati Uniti con l'operazione (criminale!) "Midnight Hammer".

Le ultime notizie (il 24 giugno di prima mattina, ora di Roma) parlano di un cessate il fuoco annunciato dal presidente americano, ma quello a cui si sta assistendo è caratterizzato da continui colpi di scena, per cui è saggio aspettare il decorso degli eventi in un contesto dominato dall'incertezza e dall'aleatorietà.

È importante osservare l'evoluzione di diversi aspetti, tra i quali il balletto delle dichiarazioni ufficiali dei leader politici che si susseguono e i movimenti delle forze militari delle parti in conflitto. Attacchi inaspettati di una certa entità potrebbero determinare un ritorno alle ostilità.

Il contesto sopra tratteggiato di escalation militare e di ambiguità nucleare ha riacceso un dibattito critico sulla validità e l'efficacia del regime globale di non proliferazione. La discussione si concentra su diversi interrogativi fondamentali: l'asserita "ipocrisia" del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), che promette il diritto all'uso civile dell'energia nucleare pur legittimando il possesso di armi atomiche da parte di alcune potenze; la delicata distinzione tra l'arricchimento dell'uranio per scopi pacifici e la sua potenziale conversione per la costruzione di ordigni militari; e la crescente richiesta di un nuovo paradigma per il disarmo, incarnato dal Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) e dalla proposta di una politica di "No First Use" (NFU) per ridurre il rischio di guerra nucleare accidentale.

Il presente articolo si propone di analizzare queste dinamiche complesse, fornendo un quadro approfondito delle sfide che il mondo deve affrontare nella gestione della minaccia nucleare

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PREMESSA - LA DEFINIZIONE DI TECNOLOGIA DELLA POTENZA

Il nucleare non va considerato, anche nel «civile», una semplice soluzione tecnologica "neutra", da sottoporre a valutazioni di costi e altri parametri «normali». Il legame strettissimo tra usi civili e usi militari, facilmente documentabile, fa entrare in gioco il concetto illuminante di «tecnologia della potenza».

Il sintomo più evidente che la tecnologia nucleare "civile" ha ben poco a che fare con una soluzione per il futuro energetico e climatico sta nella sua evidente inidoneità sotto qualsiasi parametro la si voglia oggettivamente valutare.

"Tecnologia della potenza" sta per il valore delle applicazioni tecnologiche, con alta intensità distruttiva, e facile e immediata applicazione bellica, non nella produzione energetica in senso tecnico, ma nei giochi di potere internazionale e strategici, che conta in modo determinante, specialmente in termini di «deterrenza» ed anche di impatto geopolitico.

La disponibilità di tecnologia nucleare può influenzare le relazioni internazionali, la capacità di un paese di proiettare ed imporre la propria influenza in termini di egemonia; ed anche ridurre la dipendenza energetica, per le produzioni ad alta intensità, come quelle delle industrie della difesa, nel caso del civile. A maggior ragione questo vale per la disponibilità, da parte di uno Stato, di armi nucleari!

Si parla, in sostanza, della possibilità di esercitare controllo e pressione intimidatoria sugli altri attori del gioco della potenza (diciamo pure di ricatto, come ad esempio è stato plasticamente dimostrato nel dialogo TV Trump-Zelensky). Il potere impattante si traduce in quella forza di coazione indispensabile per l'egemonia e/o il dominio (basta solo la minaccia della forza armata per rendere concreto questo valore qualitativo inestimabile nei puri calcoli economici quantitativi!).

In sintesi, ecco individuate le caratteristiche di una "tecnologia della potenza", atteso che potremmo inserire, ad esempio, anche l'intelligenza artificiale in questa categoria.

Alta potenzialità distruttiva (mette in campo alte energie intensamente focalizzate e l'uso può determinare impatti catastrofici sull'ambiente naturale e umano)

Complessità di conoscenza, manipolazione e gestione di accesso limitato e selezionato

Concentrabilità del controllo nelle varie fasi del ciclo produttivo, tendenzialmente oligopolistico se non monopolistico

Alti costi e scarsità nel reperimento delle risorse occorrenti per la lavorazione

Considerazione che gode lo Stato (elevazione di rango geopolitico) che ne ha la disponibilità

… e, soprattutto, immediata ed efficiente/efficace adattabilità agli usi bellici!

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(...)

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Conclusioni

La vicenda del nucleare iraniano, con i recenti (criminali!) attacchi e le minacce di ritiro dal TNP, ha messo in luce le profonde vulnerabilità e le tensioni intrinseche che affliggono il regime globale di non proliferazione. Il TNP, pur essendo la pietra angolare del sistema, è percepito da molti come ipocrita a causa del suo "doppio standard" che legittima il possesso di armi nucleari da parte di pochi, mentre impone rigidi obblighi di non proliferazione agli altri. La vaghezza dell'Articolo VI del TNP, che impegna gli stati nucleari al disarmo senza una scadenza chiara, unita alla continua modernizzazione dei loro arsenali, ha generato una crisi di legittimità e sfiducia.

L'Iran, con il suo arricchimento dell'uranio al 60%, dimostra come la natura a duplice uso della tecnologia nucleare, "TECNOLOGIA DELLA POTENZA", possa essere strategicamente sfruttata, mantenendo una capacità di soglia vicina all'armamento pur negando intenti militari. Questa situazione, aggravata dagli attacchi militari esterni, crea un circolo vizioso: la pressione esterna può spingere stati come l'Iran a considerare il ritiro dal TNP, minando ulteriormente l'efficacia del regime e aumentando il rischio di una proliferazione a cascata.

In questo contesto, il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) emerge come un'alternativa normativa, spinta dalla società civile, che mira a criminalizzare completamente le armi nucleari. Sebbene il TPNW sia stato concepito per essere compatibile con il TNP, la sua esistenza evidenzia il disaccordo politico fondamentale sul percorso verso il disarmo. La politica di "No First Use" (NFU) offre un'ulteriore via per ridurre il rischio di guerra nucleare accidentale, chiarendo le dottrine di deterrenza e promuovendo la stabilità. Tuttavia, la sua adozione è ostacolata dalle preoccupazioni degli stati nucleari e dei loro alleati riguardo all'impatto sulla deterrenza estesa.

In sintesi, il regime di non proliferazione si trova di fronte a una scelta critica: continuare con un approccio che ha dimostrato limiti e generato sfiducia, o evolvere verso un sistema più equo e solido nelle sue basi concettuali. La risoluzione della crisi nucleare iraniana e la prevenzione di future proliferazioni dipenderanno dalla capacità della comunità internazionale di affrontare le radici di questa "ipocrisia" percepita, di rafforzare gli obblighi di disarmo e di promuovere misure di riduzione del rischio che possano ripristinare la fiducia e garantire una sicurezza collettiva più duratura.


La crisi nucleare iraniana: ipocrisia del TNP e nuove prospettive per il disarmo

Riflessioni con riferimento alle analisi e alle proposte presentate a New York (3MSP) dai Disarmisti esigenti

(di Alfonso Navarra, con l'aiuto di ricerche Google e Gemini. Si sollecitano osservazioni critiche sul rapporto. Una nuova stesura lo arricchirà di note esplicative).

Questi problemi faranno parte della discussione online che i Disarmisti esigenti organizzano, nell'ambito di STOP REARM EUROPE, per il 27 giugno, dalle ore 17:00 alle ore 20:00.
SI partecipa andando al seguente link:
https://us06web.zoom.us/j/88436423243?pwd=xQj2ANitRlkZTSRn9vDgbqxV4fMQQV.1

VERSIONE COMPLETA DEL RAPPORTO

Sommario

La recente escalation della vicenda nucleare iraniana, culminata con gli attacchi (criminali!) agli impianti nucleari del regime autocratico degli ayatollah, ha messo in evidenza le profonde tensioni e le percepite incongruenze del sistema globale di non proliferazione nucleare. Questa situazione funge da microcosmo delle sfide sistemiche che il regime di non proliferazione globale deve affrontare, evidenziando le tensioni intrinseche tra i pilastri del Trattato di Non Proliferazione (TNP) e l'urgente necessità di rinnovati sforzi diplomatici. Il presente articolo analizza la traiettoria storica del programma nucleare iraniano, le realtà tecniche dell'arricchimento dell'uranio e il ruolo dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA). Esamina criticamente il TNP, sottolineando le sue debolezze strutturali e l'insoddisfazione per il mancato progresso nel disarmo. Uno degli aspetti centrali della "truffa" del TNP sarebbe quello di avere legittimato gli arsenali delle potenze nucleari in cambio del "diritto" degli Stati firmatari a sviluppare l'"atomo di pace" (sic!) con l'aiuto delle suddette potenze. Vengono poi esplorati il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) come alternativa normativa ("pilastro") e la politica di "No First Use" (NFU) come misura per ridurre il rischio di conflitto nucleare. Il quadro complessivo rivela un sistema di governance nucleare internazionale in crisi e sotto forte pressione, dove le ambizioni nazionali, le dinamiche di deterrenza e le aspirazioni al disarmo si scontrano, rendendo imperativa una ristrutturazione degli approcci (un ribaltamento!) per garantire la sicurezza globale dal punto di vista della sopravvivenza dell'umanità.

Questi problemi faranno parte della discussione online che i Disarmisti esigenti organizzano, nell'ambito di STOP REARM EUROPE, per il 27 giugno, dalle ore 17:00 alle ore 20:00.

SI partecipa andando al seguente link:

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Introduzione: La crisi nucleare iraniana e il paesaggio in evoluzione della Non-Proliferazione

Il programma nucleare iraniano rappresenta da decenni una fonte persistente di preoccupazione e tensione a livello internazionale. Si può discutere, rispetto all'arsenale israeliano (rivelato e documentato da Vanunu nel 1986) dei due pesi e delle due misure, ma la situazione è questa. Si è arrivati a un punto critico in questi giorni, con gli attacchi (criminali!) agli impianti nucleari iraniani. In particolare, il 13 giugno 2025, Israele ha lanciato l'operazione "Rising Lion", un'offensiva militare che ha colpito diverse infrastrutture nucleari e missilistiche iraniane, inclusi siti chiave come Natanz. Successivamente sono entrati in gioco gli Stati Uniti con l'operazione (criminale!) "Midnight Hammer".

Le ultime notizie (il 24 giugno di prima mattina, ora di Roma) parlano di un cessate il fuoco annunciato dal presidente americano, ma quello a cui si sta assistendo è caratterizzato da continui colpi di scena, per cui è saggio aspettare il decorso degli eventi in un contesto dominato dall'incertezza e dall'aleatorietà.

È importante osservare l'evoluzione di diversi aspetti, tra i quali il balletto delle dichiarazioni ufficiali dei leader politici che si susseguono e i movimenti delle forze militari delle parti in conflitto. Attacchi inaspettati di una certa entità potrebbero determinare un ritorno alle ostilità.

Il contesto sopra tratteggiato di escalation militare e di ambiguità nucleare ha riacceso un dibattito critico sulla validità e l'efficacia del regime globale di non proliferazione. La discussione si concentra su diversi interrogativi fondamentali: l'asserita "ipocrisia" del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), che promette il diritto all'uso civile dell'energia nucleare pur legittimando il possesso di armi atomiche da parte di alcune potenze; la delicata distinzione tra l'arricchimento dell'uranio per scopi pacifici e la sua potenziale conversione per la costruzione di ordigni militari; e la crescente richiesta di un nuovo paradigma per il disarmo, incarnato dal Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) e dalla proposta di una politica di "No First Use" (NFU) per ridurre il rischio di guerra nucleare accidentale.

Il presente articolo si propone di analizzare queste dinamiche complesse, fornendo un quadro approfondito delle sfide che il mondo deve affrontare nella gestione della minaccia nucleare.

Premessa

LA DEFINIZIONE DI TECNOLOGIA DELLA POTENZA

Il nucleare non va considerato, anche nel «civile», una semplice soluzione tecnologica "neutra", da sottoporre a valutazioni di costi e altri parametri «normali». Il legame strettissimo tra usi civili e usi militari, facilmente documentabile, fa entrare in gioco il concetto illuminante di «tecnologia della potenza».

Il sintomo più evidente che la tecnologia nucleare "civile" ha ben poco a che fare con una soluzione per il futuro energetico e climatico sta nella sua evidente inidoneità sotto qualsiasi parametro la si voglia oggettivamente valutare.

"Tecnologia della potenza" sta per il valore delle applicazioni tecnologiche, con alta intensità distruttiva, e facile e immediata applicazione bellica, non nella produzione energetica in senso tecnico, ma nei giochi di potere internazionale e strategici, che conta in modo determinante, specialmente in termini di «deterrenza» ed anche di impatto geopolitico.

La disponibilità di tecnologia nucleare può influenzare le relazioni internazionali, la capacità di un paese di proiettare ed imporre la propria influenza in termini di egemonia; ed anche ridurre la dipendenza energetica, per le produzioni ad alta intensità, come quelle delle industrie della difesa, nel caso del civile. A maggior ragione questo vale per la disponibilità, da parte di uno Stato, di armi nucleari!

Si parla, in sostanza, della possibilità di esercitare controllo e pressione intimidatoria sugli altri attori del gioco della potenza (diciamo pure di ricatto, come ad esempio è stato plasticamente dimostrato nel dialogo TV Trump-Zelensky). Il potere impattante si traduce in quella forza di coazione indispensabile per l'egemonia e/o il dominio (basta solo la minaccia della forza armata per rendere concreto questo valore qualitativo inestimabile nei puri calcoli economici quantitativi!).

In sintesi, ecco individuate le caratteristiche di una "tecnologia della potenza", atteso che potremmo inserire, ad esempio, anche l'intelligenza artificiale in questa categoria.

Alta potenzialità distruttiva (mette in campo alte energie intensamente focalizzate e l'uso può determinare impatti catastrofici sull'ambiente naturale e umano)

Complessità di conoscenza, manipolazione e gestione di accesso limitato e selezionato

Concentrabilità del controllo nelle varie fasi del ciclo produttivo, tendenzialmente oligopolistico se non monopolistico

Alti costi e scarsità nel reperimento delle risorse occorrenti per la lavorazione

Considerazione che gode lo Stato (elevazione di rango geopolitico) che ne ha la disponibilità

… e, soprattutto, immediata ed efficiente/efficace adattabilità agli usi bellici!

TESTO DEL REPORT

I. Il Programma Nucleare Iraniano: Traiettorie, Tensioni e Realtà Tecniche

A. Sviluppo Storico e stato Attuale

Il programma nucleare iraniano ha radici profonde, risalenti al 1954, quando gli Stati Uniti fornirono a Teheran un reattore per uranio arricchito, gettando le basi per l'avvio del programma. Questa cooperazione iniziale si inseriva in una più ampia strategia della Guerra Fredda, volta a contenere la minaccia sovietica. La costruzione della centrale nucleare di Bushehr, ad esempio, iniziò nel 1975.

La traiettoria storica del programma nucleare iraniano rivela una complessa interazione tra cooperazione internazionale, cambiamenti geopolitici e la natura intrinsecamente a duplice uso della tecnologia nucleare, che ha posto le basi per le attuali preoccupazioni sulla proliferazione. Il colpo di Stato del 1979 che portò alla caduta dello Scià e all'instaurazione della Repubblica Islamica, seguito dalla guerra Iran-Iraq nel 1980, interruppe il progresso del programma e aumentò l'isolamento internazionale dell'Iran, con gravi ripercussioni sulla sua economia.

Nel 2002, presunti piani segreti dell'Iran per lo sviluppo di impianti nucleari militari furono rivelati, dando il via a un decennio di sforzi diplomatici in gran parte infruttuosi per affrontare le preoccupazioni internazionali. Una svolta diplomatica significativa si ebbe nel 2015 con il Piano d'Azione Congiunto Globale (JCPOA), in base al quale l'Iran accettò di limitare drasticamente le sue attività nucleari, inclusa una riduzione del 98% delle sue scorte di uranio a basso arricchimento (fino a 300 kg) e un limite di arricchimento al 3,67%, in cambio della revoca delle sanzioni internazionali.

Tuttavia, il JCPOA ha incontrato ostacoli quando gli Stati Uniti si sono ritirati dall'accordo nel 2018 sotto la prima amministrazione Trump e hanno reintrodotto le sanzioni. In risposta, l'Iran ha iniziato a violare gradualmente i termini dell'accordo, aumentando l'arricchimento dell'uranio oltre i limiti consentiti e riprendendo attività proibite. Questa sequenza di eventi dimostra come i cambiamenti politici interni e le dinamiche internazionali possano influenzare profondamente il percorso nucleare di uno stato, trasformando una cooperazione inizialmente pacifica in una fonte di preoccupazione per la proliferazione.

B. Arricchimento dell'Uranio: Aspirazioni Civili vs. Preoccupazioni di Proliferazione

L'arricchimento dell'uranio è il processo che aumenta la concentrazione dell'isotopo fissile Uranio-235 (U-235). Per i reattori nucleari civili, la concentrazione tipica di U-235 varia dal 3-5%, con rari casi che raggiungono il 19,75% per alcuni reattori di ricerca. Questo "uranio a basso arricchimento" (LEU) è generalmente considerato inadatto per la costruzione di armi. Al contrario, le applicazioni militari, in particolare le armi nucleari, richiedono una concentrazione molto più elevata di U-235, in genere tra il 90% e il 95% (noto come "uranio di grado militare"). L'uranio arricchito oltre il 20% è classificato come "uranio altamente arricchito" (HEU).

Come firmatario del TNP, l'Iran è generalmente tenuto a non superare la soglia di arricchimento del 20%. Tuttavia, recenti rapporti indicano che l'Iran ha arricchito l'uranio fino a una purezza del 60%. Questo livello è tecnicamente considerato "un breve passo tecnico" dal livello di grado militare del 90-95%. Al 17 maggio 2025, le scorte di uranio arricchito al 60% dell'Iran erano aumentate significativamente, accumulando 408,6 kg, un aumento di quasi il 50% rispetto ai livelli di febbraio. L'AIEA sottolinea che l'Iran è "l'unico stato non dotato di armi nucleari a farlo".

L'arricchimento dell'Iran al 60% di U-235, sebbene tecnicamente inferiore al grado militare, rappresenta un'escalation significativa e deliberata che sfuma il confine tra capacità nucleari pacifiche e militari, fungendo da leva strategica nei negoziati internazionali piuttosto che essere puramente per l'energia civile. L'Iran sostiene che il suo arricchimento al 60% è una "sorta di leva contro gli americani per la revoca delle sanzioni" e che non ha preso la "decisione politica" di costruire una bomba. Questo evidenzia una motivazione strategica, piuttosto che puramente civile, per il suo arricchimento avanzato. La capacità di arricchire l'uranio a livelli così elevati, pur mantenendo la posizione ufficiale di non perseguire armi nucleari, crea una "capacità di soglia" che consente a Teheran di avvicinarsi rapidamente alla produzione di materiale fissile per armi, qualora decidesse di farlo.

Tabella 1: Livelli di Arricchimento dell'Uranio per Applicazioni Civili e Militari

Categoria

Concentrazione U-235 (%)

Scopo/Commento

Uranio Naturale

~0.7%

Trovato in natura; non adatto per reattori o armi.

Uranio a Basso Arricchimento (LEU)

3-5% (fino al 19.75% per alcuni reattori di ricerca)

Combustibile standard per la maggior parte dei reattori nucleari civili. I firmatari del TNP sono generalmente limitati a meno del 20%.

Soglia di Uranio Altamente Arricchito (HEU)

>20%

Soglia tecnica per l'HEU.

Livello Attuale di Arricchimento dell'Iran

60%

Supera di gran lunga le esigenze civili; "un breve passo tecnico" dal grado militare. L'Iran è l'unico stato non NWS ad aver raggiunto questo livello.

Uranio di Grado Militare

90-95%

Richiesto per le armi nucleari.

C. Supervisione e Risultati dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA)

L'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) svolge un ruolo cruciale ai sensi dell'Articolo III del TNP, verificando che i programmi nucleari degli stati non dotati di armi nucleari siano esclusivamente a fini pacifici. Il Protocollo Aggiuntivo del 1997 ha ulteriormente rafforzato i poteri di ispezione dell'AIEA, consentendo ispezioni a sorpresa e un accesso più ampio ai siti.

Il 19 giugno 2025, il Direttore Generale dell'AIEA, Rafael Grossi, ha dichiarato che "non esistono prove" che Teheran fosse vicina a sviluppare una bomba nucleare, caratterizzando la preoccupazione come principalmente legata all'alto livello di arricchimento dell'uranio. Tuttavia, un precedente rapporto dell'AIEA del 31 maggio 2025 ha presentato "chiare prove che l'Iran ha violato i suoi obblighi di salvaguardia" conducendo attività nucleari illecite come parte di un programma di sviluppo di armi segreto fino ai primi anni 2000. Questo rapporto ha anche rilevato il mancato rendiconto da parte dell'Iran di tutti i materiali nucleari utilizzati in tali sforzi. Nonostante queste scoperte, il rapporto del 31 maggio 2025 ha anche concluso che non vi erano "indicazioni credibili di un programma nucleare strutturato, non dichiarato, in corso". Ciononostante, l'AIEA ha avvertito che l'Iran sta "rapidamente avanzando nel suo programma di arricchimento dell'uranio, inclusa l'accelerazione della produzione di uranio arricchito a livelli quasi di grado militare". L'Iran, da parte sua, ha respinto il rapporto dell'AIEA del 31 maggio 2025, definendo le sue accuse "politicamente motivate e ripetizioni di accuse infondate".

I rapporti dell'AIEA presentano un quadro sfumato ma preoccupante: sebbene non sia confermato un programma di armi illecito attuale, le passate attività non dichiarate dell'Iran e il suo arricchimento accelerato al 60% (un "passo tecnico" dal grado militare) creano uno "stato di soglia" che sfida i meccanismi di verifica del TNP e alimenta la sfiducia internazionale, nonostante le salvaguardie dell'AIEA. In un briefing al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 20 giugno 2025, il Direttore Generale Grossi ha riferito che i recenti attacchi ai siti nucleari iraniani avevano causato un "forte degrado della sicurezza e della protezione nucleare." Sebbene non fosse stata rilevata alcuna fuoriuscita radiologica pubblica, ha avvertito del potenziale di tali eventi. Grossi ha confermato che le scorte di uranio dell'Iran, incluso il materiale arricchito al 60%, rimangono sotto le salvaguardie dell'AIEA e che le ispezioni riprenderanno non appena le condizioni di sicurezza lo consentiranno. Questa situazione dimostra una tensione intrinseca tra la verifica tecnica e le implicazioni politiche di un programma nucleare che si avvicina pericolosamente alla capacità di armamento.

D. Recenti Azioni Militari e il loro impatto strategico

Il 13 giugno 2025, Israele ha lanciato l'operazione "Rising Lion," uno strike militare che ha colpito vari siti di infrastrutture nucleari iraniane, tra cui l'impianto di arricchimento di Natanz, Fordow, Esfahan, Arak, il Centro di Ricerca di Teheran e l'Officina di Karaj. L'operazione mirava anche a degradare le capacità missilistiche balistiche dell'Iran e, secondo quanto riferito, ha provocato la morte di scienziati nucleari iraniani e ufficiali dell'IRGC. A Natanz, gli attacchi hanno causato danni significativi alle infrastrutture elettriche e alle sale a cascata, sebbene l'impatto completo sulle sale di arricchimento sotterranee rimanga poco chiaro.

A complicare ulteriormente il quadro, il 22 giugno 2025, gli Stati Uniti hanno lanciato la propria operazione militare, denominata "Midnight Hammer", contro tre impianti nucleari iraniani chiave: Fordow, Natanz e Isfahan. L'attacco, ordinato direttamente dal Presidente Donald Trump, è stato descritto dal Segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth come un "successo incredibile e travolgente". L'operazione ha coinvolto l'uso di 75 armi a guida di precisione, inclusi 14 bombe GBU-57 "bunker buster" da 13.000 kg, progettate per penetrare obiettivi sotterranei rinforzati come Fordow. Sono stati impiegati sette bombardieri stealth B-2 Spirit, che hanno sganciato 12 bombe MOP su Fordow e due su Natanz, mentre sottomarini hanno lanciato 30 missili Tomahawk contro i siti di Natanz e Isfahan. L'attacco è avvenuto tra le 18:40 e le 19:05 ET (circa le 02:00 ora locale in Iran) e, secondo i funzionari statunitensi, non ha incontrato resistenza iraniana, con i sistemi di difesa aerea che non hanno rilevato i bombardieri in arrivo. Sebbene l'Iran abbia minimizzato i danni, le immagini satellitari hanno mostrato danni significativi a Fordow e Natanz. Il Segretario alla Difesa Hegseth ha chiarito che la missione non era finalizzata a un cambio di regime, ma alla distruzione della capacità di arricchimento nucleare dell'Iran. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha definito gli attacchi una "pericolosa escalation".

La condanna degli attacchi è subito scattata da parte degli Stati, Russia e Cina, che hanno sostenuto l'Iran Khomeinista, con il tentativo di rafforzare la loro posizione nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (ma scontando la certezza del veto americano all'ONU).

Brilla come assenza l'Unione europea, anche con i suoi singoli Stati: si vorrebbe proporsi come mediatori ma si è bloccati dalle preoccupazioni per la sicurezza energetica e non si vuole disturbare troppo il manovratore americano.

Il Direttore Generale dell'AIEA Grossi ha confermato che questi attacchi hanno portato a un "forte degrado della sicurezza e della protezione nucleare" in Iran. Sebbene non sia stata rilevata alcuna fuoriuscita radiologica fuori sede, ha avvertito di potenziale contaminazione interna a Natanz e di gravi conseguenze, inclusi rilasci radioattivi diffusi, se centrali nucleari operative come Bushehr o il Reattore di Ricerca di Teheran fossero state colpite direttamente. Israele ha giustificato l'operazione "Rising Lion" come un "attacco preventivo" volto a impedire all'Iran di acquisire armi nucleari, sottolineando l'urgenza della minaccia. La tempistica è stata particolarmente significativa, solo un giorno dopo che l'AIEA aveva riscontrato l'inadempienza dell'Iran rispetto ai suoi obblighi di salvaguardia.

L'operazione "Rising Lion" israeliana rappresenta un'escalation cinica volta a ritardare le capacità nucleari dell'Iran, ma comporta rischi significativi di destabilizzazione regionale, potenziale disastro radiologico e potrebbe paradossalmente incentivare l'Iran a ritirarsi dal TNP e a perseguire l'armamento in modo più aggressivo. In rappresaglia, l'Iran ha condannato gli attacchi, ha affermato il suo diritto all'autodifesa e ha lanciato attacchi con droni e missili balistici contro città israeliane. Inoltre, il Ministero degli Affari Esteri iraniano ha annunciato che i legislatori stavano preparando una legge per ritirarsi dal TNP. Questo scenario, se si concretizzasse, eliminerebbe l'Iran dalle salvaguardie internazionali e dagli obblighi di trasparenza, potenzialmente accelerando il suo percorso verso un'arma nucleare e innescando un "effetto a cascata" di proliferazione nella regione. L'attacco israeliano è avvenuto mentre gli Stati Uniti erano attivamente impegnati in negoziati nucleari con l'Iran, evidenziando la natura complessa e spesso scoordinata delle dinamiche regionali.

E. – La svolta di Trump che coinvolge gli USA in una nuova guerra

Una sorda apprensione ha accompagnato la decisione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, il quale è venuto meno alle promesse pronunciate durante la campagna elettorale. In esse, egli aveva espresso la volontà di sottrarre l'America agli interminabili conflitti mediorientali e di estinguere le fiamme della guerra in Ucraina in un volgere di tempo brevissimo. Invece, dal ventidue giugno, il magnate ha imboccato una via di scontro diretto con la Repubblica Islamica dell'Iran. Le ultime notizie indicano una marcia indietro ma è tutto da vedere, la situazione è in evoluzione non scontata.

Il mutamento nella condotta estera si palesa di grave entità per le sue ripercussioni sugli equilibri regionali e internazionali, le cui ramificazioni, sebbene ancora nebulose, promettono di incidere profondamente. Quattro gli indirizzi che l'azione armata americana pare delineare: primo, la coercizione soppianta il dialogo nei confronti degli interlocutori; secondo, un'opportunistica volubilità, che attinge ad ogni espediente non diplomatico, alterando a capriccio le condizioni del compromesso; terzo, un palese disinteresse si manifesta agli alleati occidentali ed europei; quarto, con la Russia di Putin, un'occulta convergenza pare in atto. Da Teheran, Trump esigeva primariamente l'arresto dell'arricchimento dell'uranio. Il patto, forse imminente (così asseriva), forse remoto, forse tergiversato da Teheran. Sia come sia, al primo colpo inferto da Israele, Trump ha rincarato la posta: il nucleare da disfare, la mera sospensione non più sufficiente. Ora accoglie la prospettiva israeliana: prima l'estirpazione del problema iraniano, poi la ripresa del discorso cooperativo, con un Iran circoscritto e mortificato.

Le altre nazioni arabe del Golfo, blandite dagli accordi di Abramo, procedono con cautela, misurando con parsimonia la loro solidarietà a Teheran, inquiete per gli strascichi su rotte marittime, petrolio e gas, e nutrono la vana speranza che la formula trumpiana «pace per mezzo della forza» si realizzi in tempi rapidi. Non bramavano un Iran atomico, eppure non ignorano che né Washington né Tel Aviv possiedono una visione per il futuro. L'Iran persisterà quale potenza influente nella regione, così come è stato per millenni. Se il regime si mantiene, la sua vendetta sarà implacabile; se soccombe, chi o cosa succederà? Il caos alla libica? Le monarchie del Golfo e la Turchia rifuggono l'incerto e le rivoluzioni.

Il cannoneggiamento dei tre nodi nevralgici nucleari iraniani, Fordow, Natanz, Isfahan, ha ignorato la compagine dei partner europei e occidentali. Trump aveva frettolosamente abbandonato Kananaskis — adducendo un'emergenza che si sarebbe materializzata solo cinque giorni appresso — nonostante avesse sottoscritto una comune dichiarazione del G7 che esortava alla de-escalation. Egli ha agito in modo diametralmente opposto.

L'Iran ripone le sue speranze nella Russia, l'«amico strategico». A Mosca, avrà udito parole di conforto; a New York, Russia e Cina si adopereranno con veemenza per biasimare gli Stati Uniti e Israele nel Consiglio di Sicurezza. Senza esito. Il veto americano è certo, quello britannico e francese probabile. Più dei vani strepiti nel Palazzo di Vetro, contano i diretti abboccamenti russo-americani. E, in via indiretta: il rilascio dei prigionieri dell'opposizione bielorussa, conseguenza della missione a Minsk e dell'abbraccio all'incrollabile Alexandr Lukashenko da parte di Keith Kellogg, delegato speciale americano per l'Ucraina, s'inscrive nel lento avvicinamento tra la Casa Bianca e il Cremlino, per vie anche traverse, tramite gli alleati. Se Donald distoglie lo sguardo da Kiev, Vladimir acconsente volentieri a farlo da Teheran. Uno scambio vantaggioso, «nel senso che tutta l'Ucraina ci appartiene (russa)», come ha appena sentenziato Putin a San Pietroburgo. Le bombe anti-bunker americane su Isfahan e Fordow sono un esiguo pedaggio da versare, accompagnato da copiose scuse ad Araghchi, il ministro degli esteri iraniano.

(Sul fatto che la vera partita geopolitica in Medio Oriente si stia giocando tra USA e Russia consiglio, al posto dei geopolitici terrapiattisti che imperversano sulle TV e sulla stampa, la lettura di questo serio studio apparso su "Analisi difesa". Se proprio non si vuole affermare che la succitata rivista è espressione di una "lobby" dell'industria bellica, si può sicuramente dire che ANALISI DIFESA opera in stretta relazione con il settore della difesa e dell'industria militare, e la sua linea editoriale tende a essere favorevole agli interessi di tale settore: basta esserne consapevoli. Questo il link all'articolo: https://share.google/a5OhHp24bDhoZ1rSm).

II. Il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP): Una pietra angolare sotto tensione

A. Principi Fondamentali e Pilastri Fondamentali

Il TNP è un trattato internazionale di riferimento, aperto alla firma nel 1968 ed entrato in vigore nel 1970. È stato esteso a tempo indeterminato nel 1995 e vanta 191 stati parte, rendendolo uno degli accordi di limitazione degli armamenti più ampiamente aderiti. È ampiamente riconosciuto come la "pietra angolare del regime globale di non proliferazione nucleare" e un elemento fondamentale per il perseguimento del disarmo nucleare.

Il Trattato è costruito su tre pilastri interconnessi e che si rafforzano a vicenda:

  1. Non-proliferazione: Prevenire la diffusione delle armi nucleari e della tecnologia correlata. Ai sensi dell'Articolo I, gli stati dotati di armi nucleari (NWS) si impegnano a non trasferire armi nucleari o assistere stati non NWS nell'acquisizione di esse. L'Articolo II obbliga gli stati non NWS a non acquisire armi nucleari.
  2. Usi Pacifici dell'Energia Nucleare: Promuovere la cooperazione nelle applicazioni pacifiche dell'energia nucleare.
  3. Disarmo: Promuovere l'obiettivo di raggiungere il disarmo nucleare.

Il TNP definisce gli stati dotati di armi nucleari come quelli che hanno fabbricato ed esploso un ordigno nucleare prima del 1° gennaio 1967. Questi sono gli Stati Uniti, la Russia (subentrata all'ex Unione Sovietica), il Regno Unito, la Francia e la Cina, che sono anche i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L'Articolo III istituisce il sistema di salvaguardie dell'AIEA, responsabile della verifica della conformità al Trattato da parte degli stati non dotati di armi nucleari attraverso ispezioni, garantendo che il materiale fissile non venga deviato per usi militari.

Il TNP, nonostante il suo status fondante e l'ampia adesione, contiene un intrinseco squilibrio strutturale che legittima il possesso di armi nucleari da parte di cinque stati mentre lo proibisce ad altri, una dicotomia che alimenta il risentimento e mette in discussione la sua credibilità a lungo termine, specialmente quando gli obblighi di disarmo sono percepiti come inadempiuti. Questa asimmetria fondamentale, dove il pilastro della non proliferazione è strettamente applicato agli stati non NWS, mentre il pilastro del disarmo per gli NWS manca di una tempistica chiara o di un meccanismo di applicazione, contribuisce direttamente all'accusa di "ipocrisia" e crea una sfida persistente alla legittimità e all'universalità del TNP.

B. Il dilemma del disarmo: promesse inadempiute e squilibri percepiti (Analisi dell'Articolo VI)

L'Articolo VI del TNP è l'unico impegno vincolante all'interno di un trattato multilaterale per gli stati dotati di armi nucleari a perseguire il disarmo. Esso obbliga tutte le parti a "perseguire negoziati in buona fede su misure efficaci relative alla cessazione della corsa agli armamenti nucleari in una data prossima e al disarmo nucleare, e su un trattato sul disarmo generale e completo". La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) nel 1996 ha interpretato l'Articolo VI come un obbligo non solo di "perseguire in buona fede" ma anche di "portare a termine negoziati che portino al disarmo nucleare".

Tuttavia, la formulazione dell'Articolo VI è spesso criticata per la sua vaghezza, con alcune interpretazioni che suggeriscono che richieda solo "negoziati in buona fede" piuttosto che un mandato rigoroso per raggiungere il disarmo entro un periodo di tempo specifico. Gli stati non dotati di armi nucleari, in particolare quelli del Movimento dei Non Allineati, interpretano fortemente l'Articolo VI come un obbligo formale e specifico per gli NWS di disarmare, esprimendo una significativa delusione per la mancanza di progressi.

L'ambiguità e la mancanza di una tempistica concreta nell'Articolo VI del TNP, unite alla continua modernizzazione degli arsenali nucleari da parte degli NWS, hanno creato una "crisi di legittimità" all'interno del trattato, minando la fiducia e alimentando le richieste degli stati non nucleari per un'azione più decisa sul disarmo, come il TPNW. Il regime del TNP si trova attualmente a un "bivio critico," affrontando un "controllo senza precedenti" a causa della "persistente non conformità con gli obblighi di disarmo" e della continua "modernizzazione degli arsenali nucleari" da parte degli NWS. I critici sottolineano il record degli Stati Uniti, citando fallimenti come la mancata ratifica del Trattato sul Bando Completo dei Test Nucleari (CTBT), la mancata applicazione del principio di irreversibilità nella riduzione degli armamenti, la mancata negoziazione dello START III e il ritiro dal Trattato sui Missili Anti-Balistici (ABM). Questa percezione di un "doppio standard" mina la fiducia tra gli stati non nucleari e rafforza l'argomento per strumenti legali alternativi che impongano un divieto totale sulle armi nucleari.

C. Tecnologia a duplice uso (dual use) e la sfida della verifica

Una sfida fondamentale per il regime di non proliferazione è la natura "a duplice uso" della tecnologia nucleare, il che significa che ha applicazioni sia pacifiche (ad esempio, la produzione di energia) che militari (ad esempio, lo sviluppo di armi). Gli impianti per l'arricchimento dell'uranio e il riprocessamento del combustibile, essenziali per l'energia nucleare civile, possono anche produrre materiale fissile di grado militare. Il sistema di salvaguardie dell'AIEA, imposto dall'Articolo III del TNP, è progettato per prevenire la deviazione di materiale fissile per usi militari. Il Protocollo Aggiuntivo del 1997 rafforza ulteriormente questi poteri con disposizioni per ispezioni a sorpresa.

La natura intrinsecamente a duplice uso della tecnologia nucleare, in particolare l'arricchimento dell'uranio, crea una sfida persistente per il regime di verifica del TNP, consentendo a stati come l'Iran di avanzare capacità vicine all'armamento sotto la copertura di scopi pacifici, sfruttando così i limiti del trattato e alimentando la sfiducia. Tuttavia, la "natura negabile della tecnologia a duplice uso" presenta un ostacolo significativo per la verifica. Gli stati possono apparentemente perseguire programmi nucleari pacifici mentre avanzano segretamente capacità che potrebbero essere rapidamente convertite per uso militare, rendendo difficile dimostrare in modo definitivo la non conformità. La storia dell'Iran di attività nucleari non dichiarate e il suo attuale arricchimento dell'uranio al 60% esemplificano questa sfida, poiché questo livello è tecnicamente vicino al grado militare, anche se l'Iran sostiene che il suo programma è per scopi pacifici o come leva negoziale. Questa ambiguità alimenta il sospetto e mette in discussione l'efficacia delle salvaguardie esistenti.

D. Minacce di ritiro e l'erosione del Regime

Il TNP include una clausola di ritiro (Articolo X), che consente a uno stato di ritirarsi se "eventi straordinari... hanno compromesso gli interessi supremi" di quello stato. Il ritiro della Corea del Nord dal TNP nel 2003 serve da precedente per questo meccanismo.

La minaccia di ritiro dal TNP da parte di stati come l'Iran, spinta da squilibri percepiti nel trattato e dalla pressione militare esterna, rappresenta una sfida diretta all'universalità del TNP e rischia un effetto domino di proliferazione, erodendo ulteriormente l'autorità e la stabilità del regime. A seguito dei recenti attacchi israeliani ai suoi impianti nucleari, il governo iraniano ha riferito di aver iniziato a redigere una legislazione per ritirarsi dal TNP. Questa minaccia è presentata come una risposta all'"escalation del conflitto" e alla percezione che il trattato sia "discriminatorio, iniquo e imperfetto".

Le potenziali conseguenze di un ritiro iraniano sono significative: l'Iran non sarebbe più vincolato dalla sorveglianza dell'AIEA, dagli obblighi di trasparenza o dal suo impegno a non costruire una bomba nucleare. Un tale ritiro ridurrebbe drasticamente la conoscenza internazionale del programma nucleare iraniano, alimentando potenzialmente le preoccupazioni che Teheran possa accelerare segretamente i suoi sforzi verso l'armamento. Gli esperti avvertono che un ritiro iraniano e il successivo sviluppo di armi nucleari potrebbero innescare un "effetto a cascata" di proliferazione in Medio Oriente, con altri stati che si sentirebbero costretti ad acquisire il proprio deterrente. Questa situazione sottolinea che il TNP si trova a un "bivio critico," affrontando un "controllo senza precedenti" e una più ampia "erosione degli accordi di controllo degli armamenti".

III. Il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW): Una Nuova Via per il Disarmo?

A. Obiettivi e Quadro Giuridico del TPNW

Il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) è uno strumento internazionale di riferimento, distinto come il "primo trattato internazionale che dichiara illegali le armi nucleari". È stato adottato da 122 Paesi in una Conferenza patrocinata dalle Nazioni Unite il 7 luglio 2017 ed è entrato in vigore il 22 gennaio 2021.

(La definizione formalmente più precisa è:  "Conferenza delle Nazioni Unite per negoziare uno strumento giuridicamente vincolante per vietare le armi nucleari, che porti alla loro totale eliminazione" . Questa è la denominazione ufficiale utilizzata nei documenti dell'ONU e riflette fedelmente il mandato conferito dall'Assemblea Generale con la risoluzione 71/258 del 23 dicembre 2016. La conferenza si è svolta in due sessioni a New York: dal 27 al 31 marzo e dal 15 giugno al 7 luglio 2017. Per più info si vada su: www.disarmament.unoda.org).

L'obiettivo generale del TPNW è quello di raggiungere un "mondo libero da armi nucleari" vietando esplicitamente tali armamenti. Il suo quadro giuridico proibisce agli stati parte di sviluppare, testare, produrre, fabbricare, acquisire in altro modo, possedere, immagazzinare, trasferire, ricevere, usare o minacciare di usare armi nucleari o altri ordigni esplosivi nucleari. Proibisce anche lo stazionamento di armi nucleari sul loro territorio e l'assistenza in qualsiasi attività proibita.

Il TPNW è emerso come una risposta diretta alla percepita stagnazione degli sforzi di disarmo sotto il TNP, mirando a colmare un vuoto legale criminalizzando esplicitamente le armi nucleari e fornendo un nuovo quadro normativo per la loro totale eliminazione. È visto dai suoi sostenitori come un "percorso positivo" in un periodo di crescenti crisi globali, offrendo una chiara posizione legale e morale contro le armi nucleari. Questo approccio si distingue dal TNP, che, pur mirando al disarmo, ha legittimato il possesso di armi nucleari da parte di un numero limitato di stati.

B. TPNW e TNP: complementarità o contraddizione?

La relazione tra il TPNW e il TNP è oggetto di intenso dibattito. Mentre il TPNW mira a creare un mondo libero da armi nucleari, gli obiettivi del TNP sono più generici: prevenire la proliferazione, promuovere usi pacifici e incoraggiare il disarmo. Il TNP, in particolare, ha concesso un monopolio sulle armi nucleari ai cinque NWS.

I sostenitori del TPNW, inclusi i suoi redattori, affermano che è stato elaborato con "grande cura" per garantirne la compatibilità con il TNP. Il preambolo del TPNW riafferma esplicitamente il ruolo vitale del TNP come "pietra angolare del regime di disarmo e non proliferazione nucleare". L'Articolo 18 del TPNW chiarisce ulteriormente questo punto, affermando che la sua attuazione "non pregiudicherà gli obblighi assunti dagli Stati Parte in relazione agli accordi internazionali esistenti... laddove tali obblighi siano coerenti con il Trattato". Gli argomenti a favore della complementarità sottolineano che il TPNW rafforza e sostiene il pilastro del disarmo del TNP (Articolo VI) fornendo uno strumento legale concreto per l'abolizione, mettendo di fatto in pratica l'Articolo VI del TNP.

Tuttavia, il TPNW sfida fondamentalmente la legittimità del TNP proibendo direttamente le armi nucleari, esponendo così il "doppio standard" intrinseco del TNP e intensificando il dibattito politico sul ritmo e il percorso verso il disarmo nucleare. Le critiche contro il TPNW spesso ne contestano la compatibilità:

  • Alcuni sostengono che la formulazione del TPNW "subordina il TNP al trattato di proibizione".
  • Le preoccupazioni sul "forum-shopping" suggeriscono che gli stati non NWS che aderiscono al TPNW potrebbero ritirarsi dal TNP, sfuggendo così ai suoi requisiti di verifica. Tuttavia, il TPNW (Articolo 3) impone agli stati parte di mantenere le salvaguardie esistenti dell'AIEA, e la ratifica del TPNW non altera legalmente i requisiti di ritiro dal TNP.
  • Un'altra critica è che il TPNW stabilisce l'Accordo di Salvaguardia Completa dell'AIEA (INFCIRC/153) come standard minimo di verifica, piuttosto che il più rigoroso Protocollo Aggiuntivo Modello (INFCIRC/540), che i critici sostengono essere "obsoleto" per rilevare attività clandestine.
  • Una preoccupazione significativa è che il TPNW, delegittimando la deterrenza nucleare, potrebbe "minare la deterrenza estesa," portando potenzialmente gli "stati ombrello" (alleati che dipendono dalle garanzie nucleari degli NWS) ad acquisire le proprie armi nucleari.

In ultima analisi, la percepita incompatibilità è spesso radicata in un "disaccordo politico su come far progredire il disarmo nucleare" piuttosto che in un rigido conflitto legale. Questo evidenzia una divergenza fondamentale tra le nazioni che vedono la deterrenza nucleare come un male necessario per la sicurezza e quelle che la considerano una minaccia inaccettabile per l'umanità.

C. Il ruolo della Società Civile e l'Advocacy per l'abolizione nucleare

Il Trattato sulla Proibizione delle Arme Nucleari è in gran parte il "risultato dello sforzo congiunto della società civile". La Campagna Internazionale per l'Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN) è una coalizione globale di spicco della società civile dedicata a promuovere l'adesione e la piena attuazione del TPNW.

ICAN è stata fondata nel 2007 dall'Associazione Internazionale dei Medici per la Prevenzione della Guerra Nucleare (IPPNW) e da allora è cresciuta fino a includere oltre 600 organizzazioni partner in più di 100 paesi. La campagna ha ricevuto il prestigioso Premio Nobel per la Pace nel 2017 per il suo "lavoro volto ad attirare l'attenzione sulle catastrofiche conseguenze umanitarie di qualsiasi uso di armi nucleari e per i suoi sforzi pionieristici per raggiungere una proibizione di tali armi basata su un trattato".

La società civile, in particolare ICAN, ha spostato con successo il discorso sul disarmo nucleare dai paradigmi di sicurezza tradizionali a un focus umanitario, creando una significativa pressione normativa che ha portato al TPNW, sfidando così lo status quo degli NWS e sostenendo un approccio più radicale all'abolizione. La missione principale di ICAN è quella di riformulare la discussione sul disarmo nucleare, spostando l'attenzione dai tradizionali paradigmi di sicurezza alla profonda "minaccia umanitaria" rappresentata dalle armi nucleari, enfatizzando la loro capacità distruttiva e gli effetti devastanti sulla salute e sull'ambiente. Questa strategia ha permesso di dare voce a una prospettiva che trascende gli interessi di sicurezza nazionale, concentrandosi sulle conseguenze universali dell'uso di armi nucleari e mettendo in discussione la loro legittimità morale e legale.

IV. La politica di "No First Use" (NFU): riformulare la deterrenza nel senso della riduzione del rischio per garantire una maggiore sicurezza globale

A. la definizione di NFU ed individuazione della sua razionalità strategica

La politica di "No First Use" (NFU) si riferisce a un impegno o una politica formale da parte di una potenza nucleare di astenersi dall'iniziare l'uso di armi nucleari (o altre armi di distruzione di massa, WMD) in guerra. In base a una politica NFU, le armi nucleari verrebbero utilizzate solo come secondo attacco, in rappresaglia a un attacco da parte di una potenza nemica che utilizza WMD. La principale ragione strategica alla base di una politica NFU è chiarire che lo scopo dell'arsenale nucleare di uno stato è esclusivamente la deterrenza contro un attacco nucleare, piuttosto che il combattimento nucleare o la deterrenza di aggressioni convenzionali.

La politica NFU è progettata per migliorare la stabilità strategica riducendo l'incentivo percepito per attacchi nucleari preventivi, abbassando così il rischio di guerra nucleare accidentale o di escalation, e chiarendo il ruolo degli arsenali nucleari come puramente deterrente. I sostenitori di questa politica argomentano che l'adozione della NFU ridurrebbe significativamente i rischi di escalation nucleare accidentale o di errore di calcolo durante una crisi. Rinunciando esplicitamente a un primo attacco, una politica NFU mira a rassicurare gli avversari dotati di armi nucleari che non devono temere un attacco nucleare preventivo dallo stato che adotta tale politica, favorendo così una maggiore stabilità. Questo approccio cerca di disinnescare la dinamica della "corsa all'escalation" che potrebbe portare a un uso involontario di armi nucleari.

B. Argomenti a favore e contro l'Adozione della NFU

Il dibattito sulla NFU evidenzia una tensione fondamentale tra la teoria tradizionale della deterrenza (che spesso si basa sull'ambiguità e sulla minaccia del primo uso per scoraggiare tutte le forme di aggressione) e l'imperativo di ridurre il rischio di guerra nucleare, rivelando profonde divisioni tra le potenze nucleari e i loro alleati riguardo alla stabilità strategica.

Argomenti a favore della NFU:

  • Riduzione del rischio: Un beneficio primario è la riduzione dei rischi associati alla guerra nucleare accidentale, all'errore di calcolo o all'escalation involontaria durante una crisi.
  • Chiarezza e stabilità: Aumenta la chiarezza riguardo alla dottrina nucleare di uno stato, rendendo più sicuri sia gli alleati che gli avversari riducendo l'ambiguità.
  • Non proliferazione e disarmo: La NFU è vista come una misura che sostiene gli sforzi più ampi di non proliferazione e rafforza l'agenda del disarmo, in particolare attraente per gli stati non dotati di armi nucleari frustrati dalla mancanza di progressi nel disarmo degli NWS.
  • Sufficienza della deterrenza convenzionale: I sostenitori affermano che le robuste forze convenzionali degli Stati Uniti sono più che adeguate a scoraggiare o rispondere ad attacchi non nucleari contro i suoi alleati, rendendo inutili le minacce di primo uso nucleare.
  • Supporto di esperti: Molti ex alti funzionari militari ed esperti, come l'ex Segretario alla Difesa William Perry e il Generale James Cartwright, hanno pubblicamente sostenuto una politica NFU.

Argomenti contro la NFU (e contro-argomenti):

  • Indebolimento della deterrenza estesa: Una preoccupazione comune (spesso definita un "mito" dai sostenitori) è che l'adozione della NFU minerebbe la credibilità della "deterrenza estesa" per gli alleati degli Stati Uniti, portandoli potenzialmente ad acquisire le proprie armi nucleari. Tuttavia, i sostenitori della NFU replicano che i costi finanziari, politici e legali, insieme alla deterrenza convenzionale esistente, impedirebbero la proliferazione. Storicamente, le preoccupazioni degli alleati come il Giappone riguardo all'indebolimento dell'impegno degli Stati Uniti sono state un ostacolo importante all'adozione della NFU da parte degli Stati Uniti.
  • Credibilità dell'impegno: Esiste scetticismo sul fatto che gli avversari crederebbero a un impegno NFU. I sostenitori ribattono che la credibilità della NFU, come qualsiasi impegno politico, dipende dalle azioni intraprese per sostenerla.
  • Beneficio limitato: Alcune analisi suggeriscono che una politica NFU potrebbe non produrre benefici sostanziali, o che il suo impatto potrebbe essere marginale.
  • Opposizione dell'alleanza: La NATO, ad esempio, ha storicamente rifiutato di adottare una politica NFU.
  • Scetticismo sugli impegni degli avversari: I critici sottolineano anche il potenziale per stati come la Cina, che mantengono formalmente la NFU, di passare a posizioni più ambigue o di "lancio su allarme" (LOW), rendendo i loro impegni meno credibili.

Queste divergenze riflettono visioni contrastanti sul ruolo delle armi nucleari nella sicurezza internazionale: da un lato, la necessità di ridurre il rischio di catastrofe nucleare; dall'altro, la percezione che l'opzione del primo uso sia essenziale per mantenere la deterrenza contro una gamma più ampia di minacce, inclusi attacchi convenzionali su larga scala.

C. Prospettive globali sulla NFU

La politica di "No First Use" (NFU) è adottata solo da una minoranza di potenze nucleari, riflettendo le diverse dottrine di sicurezza e le percezioni della minaccia a livello globale.

  • Cina: La Cina ha formalmente mantenuto una politica di "no first use" dal 1964. Il Presidente Xi Jinping ha ribadito che "le armi nucleari non devono mai essere usate e una guerra nucleare non deve mai essere combattuta". La Cina è l'unica tra i cinque stati dotati di armi nucleari riconosciuti dal TNP a impegnarsi esplicitamente nella NFU. Tuttavia, gli analisti della difesa americani sostengono che la Cina potrebbe spostarsi verso una postura di "lancio su allarme" (LOW), che le consentirebbe di reagire al rilevamento di testate in arrivo senza attendere che colpiscano obiettivi cinesi. Questo potenziale cambiamento, se confermato, renderebbe la sua politica NFU più ambigua.
  • India: L'India ha adottato per la prima volta una politica di "no first use" dopo la sua seconda serie di test nucleari, Pokhran-II, nel 1998. Nell'agosto 1999, il governo indiano ha pubblicato una bozza di dottrina che afferma che le armi nucleari sono esclusivamente a scopo di deterrenza e che l'India perseguirà una politica di "solo rappresaglia". Tuttavia, in un discorso del 2010, la formulazione è stata modificata in "no first use contro stati non dotati di armi nucleari," sebbene alcuni abbiano sostenuto che non si trattasse di un cambiamento sostanziale.
  • Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Pakistan e Corea del Nord: Questi stati non hanno adottato una politica NFU formale.
    • Stati Uniti, Regno Unito e Francia: Questi paesi si sono opposti al TPNW e non hanno adottato una politica NFU. Affermano che useranno armi nucleari contro stati nucleari o non nucleari solo in caso di invasione o altro attacco contro il loro territorio o quello di un loro alleato. Gli Stati Uniti, in particolare, hanno votato costantemente contro le risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che accolgono l'adozione del TPNW.
    • Russia: Nel 1993, la Russia ha abbandonato un impegno contro il primo uso di armi nucleari assunto nel 1982. La dottrina militare russa successiva (2000) afferma che la Russia si riserva il diritto di usare armi nucleari "in risposta a un'aggressione convenzionale su larga scala". La Russia non ha firmato o ratificato il TPNW e si è opposta alla sua adozione, sostenendo che non stabilisce standard universali.
    • Pakistan: Ha rilasciato dichiarazioni simili alla Russia, spesso in riferimento a tensioni militari con l'India.
    • Corea del Nord: Ha pubblicamente promesso di astenersi da un attacco nucleare preventivo, pur minacciando rappresaglie, inclusi WMD, contro aggressioni convenzionali.
    • Israele: Si ritiene ampiamente che Israele possieda armi nucleari, sebbene il paese non confermi né smentisca l'esistenza di un arsenale nucleare (politica di "opacità nucleare"). Israele non è parte del TNP né del TPNW. Dal 1963, Israele ha promesso di "non essere il primo a introdurre armi nucleari in Medio Oriente," il che è spesso interpretato come il non testare o dichiarare pubblicamente l'esistenza delle sue armi nucleari.

Le diverse posizioni globali sulla NFU riflettono la complessità della deterrenza nell'attuale panorama di sicurezza internazionale. Mentre alcuni stati vedono la NFU come un mezzo per ridurre il rischio e promuovere il disarmo, altri la considerano una limitazione inaccettabile alla loro capacità di deterrenza e alla protezione degli alleati.

V. Prospettive future: al Terzo Meeting degli Stati Parti del TPNW le Proposte dei Disarmisti Esigenti; la rinascita dell'opposizione europea

Il Terzo Meeting degli Stati Parti del Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) si è tenuto dal 3 al 7 marzo 2025 presso la Sede delle Nazioni Unite a New York. L'incontro si è concluso con l'adozione di una Dichiarazione Politica "contro la deterrenza nucleare" e di un pacchetto di decisioni, inclusa la fissazione della data per la prima Conferenza di Revisione del TPNW, prevista dal 30 novembre al 4 dicembre 2026, sempre a New York.

I delegati degli Stati presenti alla conferenza hanno esplicitamente respinto la nozione di deterrenza nucleare come strategia di sicurezza legittima, affermando che essa aumenta il rischio di guerra nucleare piuttosto che prevenirlo. Hanno inoltre sollecitato lo sviluppo delle adesioni al TPNW, l'introduzione di risoluzioni parlamentari a suo sostegno e lo spostamento dei finanziamenti dalle armi nucleari verso iniziative umanitarie e politiche di sicurezza sostenibili.

Durante il meeting, la società civile ha svolto un ruolo cruciale, con la partecipazione di oltre 350 attivisti da almeno 35 paesi al Forum dei Campagnisti ICAN. Tra le voci attive e con proposte innovative, si sono distinti i Disarmisti Esigenti (www.disarmistiesigenti.org), protagonisti di due side event durante la Conferenza.

Le proposte avanzate dai Disarmisti Esigenti al 3MSP riflettono un più ampio sforzo per mettere in sinergia la Campagna ICAN con la Campagna No First Use (NFU). Questo approccio si allinea con le proposte di altre organizzazioni pacifiste, come World Beyond War, che ha promosso un impegno di No First Use da parte degli stati nucleari come primo passo per limitare esplicitamente le armi nucleari e prevenire la guerra nucleare. L'obiettivo è rafforzare la pressione normativa per l'abolizione nucleare, trasformando il TPNW da una norma internazionale in crescita a uno standard universale.

Il partner principale della spedizione dei Disarmisti esigenti a New York è stato Costituente Terra: l'idea della proibizione delle armi nucleari trova eco anche nella visione di Luigi Ferrajoli e della sua organizzazione. Ferrajoli, giurista di fama mondiale, propone un modello di costituzione globale che, tra i suoi principi cardinali, annovera la pace e il disarmo come fondamenti imprescindibili per la sopravvivenza stessa dell'umanità. In questa prospettiva, le armi nucleari sono considerate intrinsecamente illegittime, poiché violano i diritti umani fondamentali e minacciano l'esistenza stessa della vita sul pianeta. La "Costituzione della Terra" non si limita a un auspicio, ma propone un quadro giuridico sovranazionale che miri a superare la logica dello stato di natura internazionale, dove la forza prevale sul diritto. La proibizione delle armi nucleari, in tale visione, non sarebbe un mero accordo tra stati, ma un imperativo etico e giuridico iscritto nella legge fondamentale di una comunità mondiale. Questo si pone in profonda sintonia con gli obiettivi del TPNW e le istanze dei "Disarmisti Esigenti", che cercano di trasformare la proibizione del nucleare da aspirazione a norma cogente e universale, anche attraverso una sinergia tra le campagne per il disarmo. La proibizione universale delle armi nucleari, dunque, non è solo una meta da raggiungere, ma una condizione necessaria per la sicurezza collettiva e per l'instaurazione di un ordine globale fondato sulla giustizia e sul diritto.

In questo contesto di fermento culturale e politico, si assiste anche a una ripresa dell'opposizione europea ai nuovi euromissili, che potrebbe trovare una cornice diplomatica nella attivazione di una Helsinki 2. Storicamente, l'inizio degli anni '80 ha visto un'intensa attività anti-nucleare in Europa occidentale, spinta dal previsto dispiegamento di "Euromissili" in cinque paesi europei. Sebbene il movimento non sia riuscito a impedire il dispiegamento a breve termine, le sue azioni e idee – va segnalata in particolare l'azione diretta nonviolenta del Cruisewatching - hanno contribuito in modo significativo alla successiva riduzione delle armi nucleari in Europa con il Trattato INF del 1987. Oggi, le preoccupazioni per una nuova corsa agli armamenti in Europa sono riemerse, con la Russia che ha simulato un attacco nucleare in Europa con il missile "Oreshnik" e gli Stati Uniti che prevedono il dispiegamento del sistema missilistico "Typhon" in Germania a partire dal 2026. Movimenti per la pace in Europa, come quelli in Italia, stanno coordinando la resistenza alla militarizzazione e promuovendo una visione di "continente di pace", opponendosi all'agenda di "ReArm Europe" e all'aumento dei contributi NATO, che minacciano di compromettere i servizi pubblici essenziali.

Un esempio significativo di attivismo della società civile è l'organizzazione bielorussa "Our House", guidata da Olga Karatch. Questa organizzazione per i diritti umani, fondata nel 2002, opera oggi con fuoriusciti in Lituania, dove Olga Karatch vive in esilio. "Our House" si è distinta per la sua ferma opposizione al dispiegamento di armi nucleari russe in Bielorussia, una decisione che, secondo Olga Karatch, ha gravemente minato la sicurezza dei bielorussi e ha trasformato il paese in un "ostaggio" della strategia nucleare russa. L'organizzazione sostiene che l'unica via per garantire la sovranità e la sicurezza della Bielorussia sia aderire al TPNW, che proibisce esplicitamente il trasferimento, lo stoccaggio o lo stazionamento di armi nucleari.

Per quanto riguarda i "percorsi di una Helsinki 2" e l'accordo con l'International Peace Bureau, le informazioni disponibili parlano di un nuovo attivismo pacifista anche in relazione al disarmo nucleare. L'International Peace Bureau (IPB) è attivamente coinvolto nella promozione del disarmo nucleare e ha collaborato con organizzazioni come "Our House" e i Disarmisti esigenti per sostenere un mondo libero da armi nucleari. Questo riflette un impegno più ampio della società civile per la pace e il disarmo, che cerca nuove vie per il dialogo e la cooperazione internazionale.

L'Atto Finale di Helsinki fu un momento cruciale durante la Guerra Fredda, in cui 35 Stati, inclusi quelli dei blocchi occidentale e orientale (USA, URSS e i paesi europei), si accordarono su una serie di principi riguardanti la sicurezza, la cooperazione e i diritti umani. L'idea di una "Helsinki 2" nasce dalla consapevolezza che l'attuale contesto geopolitico, caratterizzato da tensioni e conflitti, in particolare la guerra in Ucraina, richiede un nuovo approccio per ristabilire la fiducia e la stabilità in Europa.

Ecco alcuni punti chiave e attori che stanno spingendo per iniziative di questo tipo:

  • Riferimento all'Atto Finale di Helsinki: Molte organizzazioni sottolineano il 50° anniversario dell'Atto Finale di Helsinki (nel 2025) come un'occasione per riflettere sui suoi principi e sulla necessità di un nuovo processo di distensione. L'obiettivo è riaffermare l'importanza del dialogo, della cooperazione e del rispetto dei diritti umani come pilastri della sicurezza.
  • Ruolo dell'OSCE: L'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), nata dalla CSCE (Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa) che produsse l'Atto Finale di Helsinki, è considerata da alcuni un potenziale foro per un nuovo dialogo. Tuttavia, l'attuale situazione di blocco interno all'OSCE, dovuta alle tensioni tra gli Stati membri, rende difficile un'azione efficace. Alcuni propongono una "OSCE Civil Assembly" per promuovere il dialogo civile e intellettuale.

L'idea di una Helsinki 2 non è necessariamente quella di replicare esattamente la conferenza di Helsinki, ma di creare un nuovo formato di dialogo che affronti le sfide attuali. Si parla di "Helsinki Group 2.0" o di una nuova "architettura di sicurezza continentale" che possa superare le divisioni attuali.

Obiettivi proposti: Le iniziative pacifiste che propugnano una "Helsinki 2" mirano a:

  • Ripristinare la fiducia e il dialogo tra gli Stati.
  • Promuovere il disarmo e il controllo degli armamenti.
  • Riaffermare il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani.
  • Risolvere i conflitti attraverso mezzi pacifici e diplomatici.
  • Garantire una sicurezza "indivisibile" in Europa, come stabilito a Helsinki, riconoscendo che la sicurezza di ogni Stato è legata a quella di tutti gli altri.

Tra i partner nella spedizione a New York, l'organizzazione "World without Wars and Violence" ha presentato un documento di lavoro (TPNW/MSP/2025/NGO/18) che riprende e sviluppa proposte, anche da parte dei "Disarmisti Esigenti", relative alla denuclearizzazione del Golfo Internazionale di Trieste e Capodistria.

I "Disarmisti Esigenti" sono stati attivi nel presentare le loro proposte, anche attraverso un working paper depositato al 3MSP, che fa seguito a quello depositato alla Conferenza Fondativa del TPNW nel 2017.

Conclusioni

La vicenda del nucleare iraniano, con i recenti (criminali!) attacchi e le minacce di ritiro dal TNP, ha messo in luce le profonde vulnerabilità e le tensioni intrinseche che affliggono il regime globale di non proliferazione. Il TNP, pur essendo la pietra angolare del sistema, è percepito da molti come ipocrita a causa del suo "doppio standard" che legittima il possesso di armi nucleari da parte di pochi, mentre impone rigidi obblighi di non proliferazione agli altri. La vaghezza dell'Articolo VI del TNP, che impegna gli stati nucleari al disarmo senza una scadenza chiara, unita alla continua modernizzazione dei loro arsenali, ha generato una crisi di legittimità e sfiducia.

L'Iran, con il suo arricchimento dell'uranio al 60%, dimostra come la natura a duplice uso della tecnologia nucleare, "TECNOLOGIA DELLA POTENZA", possa essere strategicamente sfruttata, mantenendo una capacità di soglia vicina all'armamento pur negando intenti militari. Questa situazione, aggravata dagli attacchi militari esterni, crea un circolo vizioso: la pressione esterna può spingere stati come l'Iran a considerare il ritiro dal TNP, minando ulteriormente l'efficacia del regime e aumentando il rischio di una proliferazione a cascata.

In questo contesto, il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) emerge come un'alternativa normativa, spinta dalla società civile, che mira a criminalizzare completamente le armi nucleari. Sebbene il TPNW sia stato concepito per essere compatibile con il TNP, la sua esistenza evidenzia il disaccordo politico fondamentale sul percorso verso il disarmo. La politica di "No First Use" (NFU) offre un'ulteriore via per ridurre il rischio di guerra nucleare accidentale, chiarendo le dottrine di deterrenza e promuovendo la stabilità. Tuttavia, la sua adozione è ostacolata dalle preoccupazioni degli stati nucleari e dei loro alleati riguardo all'impatto sulla deterrenza estesa.

In sintesi, il regime di non proliferazione si trova di fronte a una scelta critica: continuare con un approccio che ha dimostrato limiti e generato sfiducia, o evolvere verso un sistema più equo e solido nelle sue basi concettuali. La risoluzione della crisi nucleare iraniana e la prevenzione di future proliferazioni dipenderanno dalla capacità della comunità internazionale di affrontare le radici di questa "ipocrisia" percepita, di rafforzare gli obblighi di disarmo e di promuovere misure di riduzione del rischio che possano ripristinare la fiducia e garantire una sicurezza collettiva più duratura.


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