EARTH DAY 2025: unificare l'umanità nella visione della terrestrità

21.04.2025

In preparazione dell'incontro on line che si tiene martedì 22 aprile dalle ore 18:00 alle ore 20:00. Si partecipa andando al seguente link:  

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ID riunione: 849 0081 6726 Codice d'accesso: 156582 

EARTH DAY: PER LA PACE FONDATA SU SOLUZIONI GLOBALI DI UNIFICAZIONE DELL'UMANITA'


Di Alfonso Navarra – coordinatore dei Disarmisti esigenti (in preparazione dell'incontro online del 22 aprile 2025)

In appendice sotto riportata il documento:

LA PACE SI OTTIENE LOTTANDO PER IL DIRITTO DELLA UMANITA' E DELLA TERRA

Da New York un appello per il No al riarmo mondiale ed europeo, per il No ai nuovi euromissili, per il No alle guerre


Entra nella riunione in Zoom https://us06web.zoom.us/j/84900816726?pwd=NvnOzpj998X2OAIF3wxY3TlUyNC6Cn.1


Ogni anno il 22 aprile di celebra l'Earth Day, la Giornata della Terra. È una scadenza importante per aumentare la consapevolezza ecologica, promuovere l'azione in difesa degli ecosistemi e costruire un futuro in cui l'umanità, diversamente da oggi, viva in armonia con il pianeta.

Le origini storiche di questa giornata risalgono agli anni '60 e '70, come movimento universitario, negli USA, in seguito alla pubblicazione del libro "Primavera silenziosa" della biologa statunitense Rachel Carson.

L'Earth Day è stato proposto per la prima volta dall'attivista per la pace John McConnell durante una conferenza dell'UNESCO a San Francisco nel 1969. La giornata è stata sancita in una proclamazione scritta da McConnell e firmata dal Segretario generale delle Nazioni Unite U Thant.

La prima celebrazione ufficiale si è tenuta il 22 aprile 1970, grazie all'iniziativa del senatore statunitense Gaylord Nelson, che ha mobilitato 20 milioni di cittadini americani in una storica manifestazione a difesa del pianeta

L'Earth Day mobilita oggi milioni di persone in tutto il mondo, unendo individui, comunità, organizzazioni e governi in azioni concrete a favore della protezione ambientale. Questa partecipazione globale dimostra una crescente sensibilità ai problemi ecologici e un desiderio collettivo di cambiamento in direzione dell'ecosviluppo.

Questa giornata funge da importante promemoria per riflettere sullo stato del nostro pianeta e sulle sfide ambientali che affrontiamo, come l'inquinamento, la deforestazione, il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità.

La giornata incoraggia l'adozione di pratiche e politiche "sostenibili" a tutti i livelli, dalle azioni individuali come la riduzione dei rifiuti e il consumo responsabile, alle iniziative aziendali e alle normative governative volte alla conservazione delle risorse naturali e alla riduzione delle emissioni.

L'Earth Day offre un'opportunità per educare e informare il pubblico, in particolare le giovani generazioni, sull'importanza della tutela ambientale e sulle possibili soluzioni per un futuro più sostenibile.

Nel corso degli anni, l'Earth Day ha giocato un ruolo significativo nell'influenzare importanti legislazioni ambientali a livello nazionale e internazionale, evidenziando l'impatto della mobilitazione popolare sulla politica.

Questa giornata rafforza il movimento ambientalista globale, fornendo una piattaforma per la collaborazione, la condivisione di idee e la creazione di un senso di responsabilità condivisa verso il nostro pianeta.

Noi, Disarmisti esigenti, affrontiamo questa giornata per rafforzare la visione culturale della Terrestrità, considerata essenziale per le culture della pace del XXI Secolo; e speriamo di adoperarci in tal senso mediante diverse modalità interconnesse per sostenere l'approccio mentale già maturo di riconoscimento della nostra profonda, "organica", interdipendenza di specie con il mondo naturale e ci spinga ad agire come custodi responsabili del nostro unico e insostituibile pianeta.

La "terrestrità" per noi non è semplice appartenenza e connessione emotiva più profonda con il pianeta. Invitiamo sì a riconoscere le saggezze ancestrali sull'interconnessione di tutti i viventi ma, abbandonando la mentalità mitologica, spingiamo a reinterpretarle su una base scientifica moderna. E vogliamo che questa visione sia recepita e integrata strutturalmente nella Carta dell'Onu e nelle costituzioni nazionali, sull'esempio di quello che già hanno fatto alcuni paesi Latinoamericani.

I due esempi più emblematici sono:

  • Ecuador (Costituzione del 2008): Questa è stata la prima costituzione al mondo a riconoscere i "diritti della Natura" (Capitolo VII). La Costituzione stabilisce che la Natura, o Pachamama, ha il diritto al pieno rispetto della sua esistenza e al mantenimento e rigenerazione dei suoi cicli vitali, struttura, funzioni e processi evolutivi. Si riconosce quindi alla Natura una soggettività giuridica, permettendo a individui, comunità e nazionalità di esigere dalle autorità pubbliche l'adempimento di questi diritti. Il concetto di Buen Vivir (Sumak Kawsay in quechua), un principio indigeno che promuove un'esistenza armoniosa tra uomo e natura, permea l'intera costituzione.
  • Bolivia (Costituzione del 2009): Anche la costituzione boliviana incorpora una forte enfasi sul rispetto per la Madre Terra. Il Preambolo menziona esplicitamente la Pachamama. L'articolo 8 include tra i principi etico-morali della società plural la Ama Quella, Ama Llulla, Ama Qhamaña (non essere pigro, non essere bugiardo, non essere ladro) e il Suma Qamaña (Vivir Bien), concetti strettamente legati all'armonia con la natura e al benessere collettivo. La costituzione riconosce il diritto a un ambiente sano e stabilisce il dovere dello Stato e della popolazione di difendere e proteggere la Madre Terra per il beneficio delle generazioni presenti e future (Articolo 33 e 34).

Vediamo, con questo sguardo, l'umanità come parte integrante della Terra e non come entità dominatrice, "padrona". La massima è: "Non è l'Uomo il proprietario della Terra, ma è la Terra che ci possiede in quanto substrato della evoluzione che ci ha creati e che continua a nutrirci".

Decentrando la prospettiva unicamente umana, "antropocentrica", riconosciamo il valore intrinseco di tutte le forme di vita e dell'intero ecosistema terrestre. Questo porta a una visione culturale più olistica e inclusiva che promuove un senso di responsabilità collettiva e di appartenenza a una comunità planetaria, superando le divisioni nazionali e culturali in nome di un obiettivo comune: la salvaguardia del nostro pianeta.

Forse parlare di "antropocene" è esagerato, ma è indubbio che la civiltà contemporanea stia impattando in modo traumatico sulla Natura, il che non potrà che provocare risposte sempre più violente da parte dei sistemi che cercano di ripristinare gli equilibri evolutivi.

Questa visione della "terrestrità" la consideriamo la base culturale di quella che chiamiamo "nonviolenza poietica": un orientamento che va oltre il "pragmatismo" alla Gene Sharp.

La nostra concezione della nonviolenza, oltre il comportamento etico individuale, vuole essere sì socialmente e politicamente efficace, ma non limitata alla tattica e alle tecniche considerate indipendentemente dai valori e dalla strategia. Dal punto di vista dei valori, sposiamo una causa "esperimento di verità con la giustizia sociale; e –per quanto riguarda la strategia, il punto è: "cooperare come fratelli e sorelle, non confliggere come nemici"; quindi "trasformare i nemici in amici".

Quindi nonviolenza concreta, fattiva, capace di cambiamenti sociali e di raggiungimenti istituzionali, specialmente nel diritto internazionale, che tengano conto dei rapporti di forza, ma radicata nella tensione a presentare alternative allo stato di cose presente che si va a contestare.

Questa nonviolenza, ispirata all'insegnamento e alla pratica di figure come Gandhi e M.L. King, è fondata sulla persuasione, motivata e plausibile, che la "forza" originata dall'istinto vitale sia più potente, almeno nello spazio terrestre, e per i millenni a venire, di quella che punta alla distruzione: Eros prevale su Thanatos, su questo pianeta, sistema relativamente chiuso, definito e circoscritto.

A livello universale sembrerebbe, invece, che la lotta della vita contro l'entropia sia destinata alla sconfitta perché è solo temporanea la capacità della materia di auto-organizzarsi in forme complesse, sfruttando flussi di energia per contrastare temporaneamente la dissipazione e il disordine.

La forza vitale agisce nell'evoluzione naturale ed è intrinseca ad essa, ne costituisce l'essenza: di qui il dovere etico e pratico di accompagnarla e non forzarla, distorcendo i processi spontanei che hanno condotto all'attuale, dinamico, equilibrio biologico ed ecologico.

Questa visione postula una sorta di saggezza intrinseca della Natura: l'evoluzione naturale, attraverso miliardi di anni di tentativi ed errori, ha sviluppato soluzioni complesse e adattamenti sofisticati che spesso superano la nostra comprensione e capacità di replica. Intervenire in modo forzato, sulla base di conoscenze limitate e di obiettivi a corto raggio, può portare a conseguenze impreviste e dannose per gli equilibri ecologici e per la stessa vita.

Riconoscere una forza vitale intrinseca significa rispettare l'autonomia degli organismi viventi e dei sistemi naturali di autorganizzarsi, evolvere e trovare il proprio equilibrio. Forzare i processi naturali può e deve essere visto come una violazione di questa autonomia.

Accompagnare i processi naturali, piuttosto che forzarli, spesso porta a soluzioni più sostenibili e resilienti nel lungo periodo. Assecondare le dinamiche naturali può favorire la creazione di ecosistemi più stabili e capaci di adattarsi ai cambiamenti.

Se la forza vitale è considerata un'essenza intrinseca, manipolarla o forzarla solleva importanti questioni etiche riguardo al nostro ruolo e alla nostra responsabilità nei confronti della vita e del pianeta. Un approccio di accompagnamento implica umiltà, osservazione e un intervento consapevole e minimamente invasivo.

In molti campi, dall'agricoltura alla medicina, si sta già riscoprendo il valore di approcci che lavorano in armonia con i processi naturali. L'agricoltura rigenerativa, le energie rinnovabili e le terapie che supportano la capacità intrinseca del corpo di guarire sono esempi di come accompagnare la forza vitale possa portare a risultati più efficaci e rispettosi.

Quanto finora affermato non significa tutto ciò che è "naturale" sia necessariamente "buono" o desiderabile dal punto di vista umano (pensiamo a malattie o catastrofi naturali). In alcuni casi, l'intervento umano è necessario per alleviare la sofferenza, proteggere la biodiversità o ripristinare ecosistemi degradati.

Il confine tra accompagnare e forzare può essere sottile e dipendere dalla nostra comprensione dei processi naturali e dalle nostre intenzioni. Un intervento mirato a ripristinare un equilibrio alterato potrebbe essere considerato un accompagnamento, mentre una manipolazione volta a un guadagno a breve termine dobbiamo vederlo come una forzatura da evitare.

In sostanza, dobbiamo concepire il nostro lavoro per la pace come un inserimento della nostra storia umana nel flusso evolutivo quale elemento equilibratore e non distruttore di un ecosistema unico.

Cerchiamo allora di semplificare e schematizzare.

Esiste una tendenza della storia umana a contrastare e forzare l'evoluzione naturale; ed esiste un'altra tendenza ad assecondarla per equilibrarla meglio, nell'interesse stesso della totalità della vita organica.

Nella prima tendenza, subalterna alla logica della potenza e dell'accumulazione illimitata, possiamo ascrivere la subalternità di un "pacifismo" limitato culturalmente, alla fin fine concorrente all'aggravamento delle fratture umane.

Nella seconda tendenza inquadriamo, quale punta avanzata, la nonviolenza poietica della terrestrità.

Facciamo l'esempio più attuale di quali conclusioni differenti siano lo sbocco di di chi inforca i due tipi diversi di occhiali, quelli divisivi del pacifismo subalterno alla logica sistemica attuale e quelli invece unificatori del pacifismo che lavora sul "prima l'Umanità, prima le persone", organi della vita universale.

Il pacifismo subalterno e divisivo non ha gli strumenti concettuali per inquadrare la relatività del limes. Il principio centrale della Carta dell'ONU consiste, in questo approccio, nella sacralità dei confini, nella difesa assoluta della integrità territoriale degli Stati.

Già adesso possiamo sostenere che, al contrario, il principio fondamentale e centrale su cui si basa l'intera Carta dell'ONU è il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Tutti gli altri principi e scopi dell'ONU sarebbero già subordinati a questo obiettivo primario.

Ma questo aspetto, cioè la pace viene prima dei confini, risulta ulteriormente validato se partiamo dalla premessa che la Terra non appartiene ai vari gruppi umani organizzati; sono i gruppi umani organizzati invece ad appartenere alla Terra.

La Terra, con i suoi singoli spezzoni, non appartiene a questo o quel gruppo umano, e nemmeno alla intera umanità. Ogni popolo inquadrato territorialmente ne è solo il custode, non il proprietario, in nome dell'umanità intera e della Natura. Punto.

Ogni Stato non il padrone del suo territorio, ma solo il custode amministrativo responsabilizzato a ben governarlo.

La "giustizia", quindi, non sta nel ripristino dei confini, ma nella salvaguardia dei diritti umani e sociali e nel rispetto degli equilibri ecosistemici.

La "giustizia", quale principio assoluto, non sta nel rispettare la linea tracciata dai buoi di Romolo su un territorio.

Ovviamente questo non significa giustificare un qualsiasi Remo che attraversi in modo armato i solchi tracciati!

Tornando al diritto internazionale nella interpretazione attuale, il rispetto per l'integrità territoriale e l'indipendenza politica degli Stati membri è strettamente legato al mantenimento della pace e della sicurezza. Infatti, l'articolo 2 della Carta stabilisce alcuni principi fondamentali che gli Stati membri devono rispettare, tra cui:

Sovrana uguaglianza degli Stati membri (paragrafo 1): Implica il rispetto per la loro esistenza, la loro indipendenza e la loro integrità territoriale.

Astensione dalla minaccia o dall'uso della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato (paragrafo 4): Questo articolo sottolinea l'importanza di non violare i confini e la sovranità degli altri Stati.

Quindi, il rispetto dei confini è un principio importante e derivato che contribuisce al raggiungimento dell'obiettivo centrale della pace e della sicurezza. La violazione dei confini è spesso una causa di conflitti e instabilità internazionale, che l'ONU dovrebbe cercare di prevenire e risolvere meglio di quanto non faccia adesso.

Altri principi centrali della Carta dell'ONU, oltre al mantenimento della pace e della sicurezza, includono:

  • La soluzione pacifica delle controversie internazionali (articolo 2, paragrafo 3).
  • La cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi economici, sociali, culturali e umanitari (articolo 1, paragrafo 3).
  • Il rispetto per i diritti umani e le libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione (articolo 1, paragrafo 3 e articolo 55).
  • L'autodeterminazione dei popoli (anche se non esplicitamente centrale come la pace e la sicurezza, è un principio fondamentale che ha influenzato la decolonizzazione e continua ad essere rilevante).

Quello che comunque va sottolineato, ad esempio relativamente al conflitto in corso in Ucraina, che il parametro per valutare la "giustizia" di un negoziato di pace non è l'assolutezza del ripristino dei confini sedicenti originari.

A maggior ragione se una visione di costituzionalismo globale pone come infondata la sovranità assoluta degli Stati storici: una "Costituzione della Terra" sancirebbe questa condizione giuridica e democratica di "sovranità limitata" (che già la Costituzione italiana riconosce nell'articolo 11).

Tornando alla nostra "casistica pacifista", se guardiamo al "caso Ucraina" abbiamo quindi le seguenti categorie.

I "pacifisti" per cui la "pace giusta" è il ripristino dei confini territoriali dell'Ucraina includenti la Crimea e il Donbass.

I "pacifisti" per cui la "giustizia" sta invece nell'annessione delle regioni russofone alla Federazione russa.

Poi ci siamo noi, quelli della "pace possibile": dobbiamo cercare un compromesso che rispetti le esigenze di sicurezza per tutti gli attori statali in gioco. Prima viene una "sicurezza" garantita da una Helsinki 2, dopo viene la questione dei confini.

Più in generale, se dobbiamo lavorare per una pace che sia unificazione della umanità nella terrestrità, e quindi affermazione di un costituzionalismo globale, dovremmo evitare un "pacifismo" che si schieri per l'Occidente contro l'Oriente o viceversa. Ed anche un "pacifismo che si schieri per il Sud contro il Nord, giustificando ad esempio resistenze armate guidate da ideologie totalitarie disumane.

Le divisioni geopolitiche in questa fase si stanno moltiplicando. Pare che con Trump non avremo più un solo Occidente, ma due, quello americano e quello di parte dell'Europa. Il discorso non cambia: essere per la pace della terrestrità, del costituzionalismo globale, non significa arruolarsi in questo o quel campo geopolitico dell'Ovest o dell'Est, del Nord o del Sud del mondo.

Abbiamo bisogno, in parole chiare e nette, di un pacifismo delle soluzioni, delle idee alternative, non un pacifismo delle imputazioni e delle logiche di potere.

Non dobbiamo passare il tempo a stabilire chi è colpevole di questo o di quello, nei cnflitti correnti, e come va eventualmente punito, bensì dobbiamo indicare delle vie di uscita alle crisi e ai problemi, cercando di preservare quante più vite possibili.

È notevole come i "cercatori di colpe" finiscano poi per diventare ciechi rispetto alle minacce più gravi, generali e urgenti che affliggono l'umanità in questo periodo di caotico mutamento.

Ecco alcune cose che non vedono o mettono in secondo piano:

  • Il pericolo di guerra nucleare per errore cui può portare la degenerazione dei conflitti in corso.
  • Il deterioramento implacabile dell'ecosistema unico in cui viviamo.
  • L'ingiustizia di un sistema accumulativo che, nell'indifferenza generale, stermina per fame in tre giorni, al ritmo di 7.000 al giorno, i bambini che muoiono in due anni di "genocidio" a Gaza.
  • Lo sterminio che infliggiamo agli altri animali nei lager allestiti per l'allevamento intensivo: non ha alcun rispetto per la natura senziente di esseri che, in un certo senso, sono nostri parenti.
  • Il nuovo totalitarismo cui può condurre l'AI attualmente controllata nelle sue infrastrutture da un numero ristrettissimo di potenti.

Riguardo all'indifferenza per le sofferenze inaudite che infliggiamo agli altri animali, crediamo non sia esagerato richiamare una analogia con le pratiche naziste. Facciamo attenzione. Gli allevamenti intensivi, come i campi di concentramento, sono sistemi di produzione di massa in cui gli individui vengono trattati come unità anonime all'interno di un processo industriale finalizzato a un prodotto (carne, latte, uova). Gli animali vengono spesso privati della loro individualità attraverso marchiature o numeri identificativi. Le condizioni di vita negli allevamenti intensivi comportano un confinamento severo in spazi ristretti, la negazione dei comportamenti naturali e la privazione di stimoli ambientali, causando stress e sofferenza cronica a livelli insopportabili. Similmente, i prigionieri nei campi nazisti erano sottoposti a condizioni disumane di sovraffollamento e deprivazione. In entrambi i contesti, individui vengono sistematicamente sfruttati per uno scopo ritenuto superiore (profitto economico nel caso degli allevamenti, ideologia razziale nel caso del nazismo), con nessun riguardo per il loro benessere o la loro vita intrinseca. Sia gli animali negli allevamenti intensivi che le vittime del nazismo risultano spogliati della loro dignità, trattati come oggetti o "cose" prive di valore individuale.  L'esito finale per la stragrande maggioranza degli animali negli allevamenti intensivi è la macellazione, spesso in giovane età. Nel contesto nazista, si trattava di uno sterminio sistematico su base ideologica.

Vi sono però delle differenze da considerare. Lo sterminio nazista era motivato da un'ideologia di odio razziale e di eliminazione di gruppi umani ritenuti "inferiori" o "nemici". L'allevamento intensivo è primariamente motivato da ragioni economiche e dalla domanda di prodotti animali. Lo scopo primario dell'allevamento intensivo non è l'inflizione di sofferenza per sadismo, sebbene le condizioni create causino sofferenza a livello straziante. Lo sterminio nazista aveva come obiettivo deliberato l'annientamento di interi gruppi di persone. La nostra società opera ancora su una base di specismo, ovvero la discriminazione basata sulla specie, che porta a considerare la vita e la sofferenza degli animali in modo diverso da quella degli esseri umani. Questo non giustifica la sofferenza inflitta, ma è un elemento cruciale per comprendere il contesto in cui avviene l'allevamento intensivo. Mentre le atrocità naziste vennero perpetrate in un clima di segretezza e negazione, l'allevamento intensivo è un sistema ampiamente visibile e oggetto di crescente dibattito etico e consapevolezza pubblica.

Sebbene esistano delle analogie strette e inquietanti tra la sistematicità, la spersonalizzazione e la sofferenza inflitta negli allevamenti intensivi e in alcuni aspetti delle pratiche naziste, è ragionevole non banalizzare l'unicità e l'orrore specifico dell'Olocausto, che fu un genocidio basato sull'odio razziale con l'intento di annientare un intero popolo. L'analogia può essere utile per evidenziare la portata e la gravità della sofferenza animale nell'allevamento intensivo e per stimolare una riflessione etica profonda sul nostro rapporto con gli altri animali. Tuttavia, è cruciale mantenere una rigorosa accuratezza storica e comprendere le differenze fondamentali tra i due fenomeni.

Per quanto riguarda, infine, l'ultimo aspetto del pericolo totalitario e forse esistenziale costituito dall'AI,  è essenziale sviluppare una cultura del controllo sociale della ricerca e delle applicazioni tecnologiche, nel cui ambito regolativo deve essere esercitata la libertà (relativa) di scienziati e ingegneri.

Per prevenire un "totalitarismo dell'IA", è fondamentale:

  • Sviluppare e implementare rigorosi principi etici e quadri legali per l'AI.
  • Garantire la trasparenza e la responsabilità degli algoritmi.
  • Proteggere la privacy e i diritti dei cittadini nell'era dell'AI.
  • Promuovere l'alfabetizzazione sull'IA e il pensiero critico.
  • Mantenere un controllo democratico sulla proprietà, sullo sviluppo e sull'uso dell'AI.
  • Favorire un ecosistema di AI decentralizzato e diversificato.

Il rischio di un nuovo totalitarismo facilitato dall'IA è reale e forse già fuori controllo. Richiede una vigilanza costante, un dibattito pubblico informato e azioni concrete a livello politico, tecnologico ed etico per garantire che l'AI sia uno strumento al servizio dell'umanità e non della sua oppressione, come si accinge ad essere nell'indifferenza generale. Abbiamo bisogno di un pacifismo che veda il problema e aiuti a provvedervi…

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APPENDICE

LA PACE SI OTTIENE LOTTANDO PER IL DIRITTO DELLA UMANITA' E DELLA TERRA


Da New York un appello per il No al riarmo mondiale ed europeo, per il No ai nuovi euromissili, per il No alle guerre

Ennio Cabiddu, Giovanna Cifoletti – di Disarmisti esigenti

Paola Paesano – di Costituente Terra

Totò Schembari – di Associazione Pagoda per la pace a New York

Sandrino Ciani – di Marcia Mondiale per la pace e la nonviolenza

Componenti della delegazione che ha presenziato attivamente ai lavori del 3MSP (Palazzo di Vetro dell'ONU, dal 3 al 7 marzo 2025)

19/03/26

Nella sede delle Nazioni Unite, a New York, gli Stati Parte del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari vanno oltre il diritto umanitario, che è nell'essenza un diritto di guerra, e respingono il principio della deterrenza in sé: la sicurezza non può essere basata sulla minaccia di distruzione rivolta all'umanità intera.

Il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (da qui in poi TPAN) è una tappa straordinaria nel cammino del disarmo nucleare effettivo, un risultato importante della diplomazia mondiale a tutti i livelli. Ed anche della pressione del movimento pacifista, organizzato dalla rete ICAN (Campagna internazionale per l'abolizione delle armi nucleari, premio Nobel per la pace 2017). Un traguardo recentissimo se consideriamo i tempi storici della guerra fredda e gli oltre trent'anni successivi alla sua fine, nel 1989, con la caduta del Muro di Berlino.

Dal 1945 fino agli anni Sessanta la situazione atomica trovava raffigurazione nell'immagine terrorizzante della potenza distruttiva, totale, dell'Olocausto atomico generale. L'eloquenza dell'immagine di una Terra completamente incenerita faceva della Bomba scatenante, che pure era stata usata per uccidere intenzionalmente innocenti, a Hiroshima e Nagasaki, insieme un totem e un tabù.

Successivamente alla Mutua Distruzione Assicurata (MAD), l'approccio originario del "confronto atomico totale e tutto in una volta", si è sostituita la "risposta flessibile": questo passaggio dottrinale ha avuto conseguenze significative sulla situazione nucleare, modificando le visioni strategiche e le implicazioni per la stabilità globale.

La MAD si basava sulla certezza che qualsiasi attacco nucleare su vasta scala avrebbe portato alla distruzione totale sia dell'attaccante che del difensore. La risposta flessibile prevede invece una gamma successiva di opzioni militari, dalle convenzionali alle nucleari, per rispondere a diversi livelli di aggressione percepiti. Questa seconda dottrina, prevedendo una escalation di mosse e contromosse, ha mirato a fornire una maggiore flessibilità nella gestione delle crisi, consentendo risposte pensate come proporzionate per limitare il rischio di un'esplosione nucleare totale.

Questa nuova concezione l'abbiamo vista applicata nello scenario di "guerra nucleare limitata al teatro europeo" che ha caratterizzato la crisi degli euromissili degli anni Settanta/Ottanta, con Comiso città simbolo in quanto primo luogo prescelto per la risposta NATO agli SS-20 sovietici.

L'accordo INF (Forze nucleari intermedie) tra Reagan e Gorbaciov del 1987, in cui la pressione dal basso del movimento pacifista ha giocato un ruolo (si veda la rete internazionale del Cruisewatching), come è noto, ha aperto il periodo del più grande disarmo nucleare della Storia.

Ora questa realtà appare del tutto superata; a partire, in particolare, dalla guerra russo ucraina, il tabù almeno verbale dell'impiego della Bomba sembra rotto con le minacce esplicite di impiego. Mini-nukes e bombe tattiche sono esplicitamente menzionate come compatibili con il teatro di guerra, anche se il loro potere di devastazione è almeno venti volte maggiore di quelle usate a Hiroshima e Nagasaki. L'ordigno atomico che prometteva la catastrofe alla fine della Seconda guerra mondiale è divenuto ora, nella retorica pubblica corrente, un'arma "solo" tattica, dalle prestazioni modulari, performanti. Questa cinica disinvoltura nel linguaggio è un fatto nuovo nella "situazione atomica".

Le potenze nucleari, ovviamente le prime sostenitrici del principio della deterrenza, non hanno remore nel rifarsi ai motivi della difesa e della sicurezza per giustificarlo. Ma possiamo veramente pensare che una minaccia di distruzione totale possa avere qualcosa a che fare con la sicurezza dei popoli oltre che degli Stati?

Le armi nucleari e l'assunzione della dottrina della deterrenza fanno sicuramente di ogni stato che le adotta una entità politica che vanifica alla radice il concetto di democrazia. La deterrenza nucleare richiede un alto grado di segretezza e controllo sulle informazioni, il che porta alla centralizzazione del potere. Questo esclude la trasparenza e, nell'impossibilità del controllo parlamentare, estende le responsabilità del governo, in cui sono concentrate le decisioni, ad un potere illimitato di vita e di morte. La deterrenza nucleare promuove una cultura della sicurezza nazionale che enfatizza la segretezza, l'obbedienza e la lealtà. Si finisce per limitare la libertà di espressione e di dissenso, soprattutto in materia di politica nucleare, anche nei regimi che si proclamano "culle" della democrazia liberale.

Non può che essere autoritario uno stato che dispone arbitrariamente della vita dei suoi cittadini incolpevoli, oltre che della vita dei cittadini innocenti di altri paesi. In un certo senso e senza esagerazione alcuna possiamo parlare della deterrenza come di un genocidio programmato.

Dal 6 agosto 1945, dopo le tensioni altissime della guerra fredda, dopo il suo superamento, nella confusa fase contemporanea di caos, di guerre e di numerosissimi conflitti armati, non è tollerabile che gli Stati fondati per la sicurezza di tutti, per garantire diritti fondamentali ancor prima che diritti civili, diventino essi stessi i nostri veri nemici.

I nostri veri nemici, a ben pensarci, non sono i popoli né gli stati in sé, ma tutti quei governi che preparano la guerra, minacciano le popolazioni civili e rifiutano la via del negoziato.

Strategia della deterrenza e rischio nucleare vanno di pari passo. Più si punta sulla deterrenza, più cresce il rischio nucleare, sia militare che civile. Non solo aumentano le armi – una minaccia già per il solo fatto di esistere – ma si alimenta anche la sfiducia tra le potenze, oggi più numerose rispetto alla Guerra Fredda. L'Unione Europea, che dovrebbe rappresentare un modello di integrazione pacifica, perde credibilità nel mondo. Il suo riarmo e l'insistenza sulla deterrenza nucleare diventano così un pericoloso esempio per altri paesi in cerca di capacità e di "prestigio" nucleare.

A dire no al Trattato di proibizione delle armi nucleari, non partecipando alla Conferenza newyorchese, il Terzo meeting degli stati parti del TPAN, che si è svolto dal 3 al 7 marzo scorsi, neppure come osservatrici, sono naturalmente le potenze nucleari e i loro alleati. Un'altra coincidenza non trascurabile è la notizia dell'invio da parte degli Stati Uniti in Europa, delle nuove testate "atomiche" B61-12. L'informazione, data solo dal "Fatto quotidiano", dopo che se ne parlava da una decina d'anni, cade anch'essa durante lo svolgimento della citata Conferenza newyorkese.

La terza conferenza TPAN celebra i progressi compiuti, con 73 Stati ratificanti, una ventina in più di firmatari, e rappresenta un momento di incontro tra diplomazia, istituzioni e società civile nel quarto anniversario dell'entrata in vigore del trattato. Tuttavia, resta fragile finché le potenze nucleari non lo prenderanno in considerazione, o addirittura lo boicotteranno.

Nella prospettiva della conferenza di revisione del TPAN programmata per il 2026, sempre a New York, il documento congiunto dell'associazione Costituente Terra e Disarmisti Esigenti, entrambi presenti all'incontro coordinato da ICAN presso l'ONU, individua tre vie per passare dalla proibizione alla eliminazione effettiva delle armi nucleari

1) il tavolo delle potenze nucleari per adottare il NO FIRST USE, una misura prudenziale di un patto di non primo uso e di deallertizzazione delle testate condiviso dalle potenze nucleari;

2) una riproposizione aggiornata degli accordi di Helsinki del 1975 configurabili in una Helsinki 2 in cui un dialogo da riaprirsi con la Russia allontanerebbe il rischio di una guerra estesa ai paesi baltici a minoranza russa e bielorussa. In questa direzione merita grande attenzione e supporto la proposta di Olga Karatch, di Our House pacifista e dissidente bielorussa (candidata al Nobel per la pace nel 2024) di lottare per la creazione di una zona demilitarizzata nell'area che interessa il confine tra Russia, paesi Baltici, Bielorussia, Polonia e Ucraina. In questo contesto si inserisce l'opposizione ai nuovi euromissili, previsti sia ad Est (Bielorussia), che ad Ovest (Germania).

3) la Costituzione della Terra. L'eliminazione totale delle armi nucleari è un processo a lungo termine, che è bene perseguire determinando condizioni che evitino una catastrofe nucleare. La gradualità che elimina la guerra per errore non indebolisce il TPAN, né il TPAN riduce la forza del piano per il disarmo totale e l'abolizione della guerra. Questo è il vero obiettivo delle Nazioni Unite, che, nel progetto della Costituzione della Terra di Luigi Ferrajoli trova espressione negli articoli 52: con il divieto di produzione di commercio e di detenzione dei beni micidiali (le armi nucleari, le altre armi di offesa e di morte, i droni omicidi, le droghe pesanti, le scorie radioattive, le emissioni di gas serra e tutti i rifiuti tossici; nell'art. 53: con la messa al bando delle armi e il monopolio pubblico della forza; nell'art. 77: con il superamento degli eserciti nazionali.

Della terza e più radicale via che abbiamo indicato nel working paper allegato agli atti della Conferenza ONU e la cui sostanza ha precedenti storici, come del resto la proposta di una Helsinki II.

Concludiamo riprendendo l'ultima frase del Manifesto Russell/Einstein: "In considerazione del fatto che in qualsiasi futura guerra mondiale saranno certamente impiegate armi nucleari, e che tali armi minacciano la continua esistenza dell'umanità, esortiamo i governi del mondo a rendersi conto e ad ammettere pubblicamente che il loro scopo non può essere promosso da una guerra mondiale, e li esortiamo, di conseguenza, a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le questioni di controversie tra loro." A questa frase aggiungiamo una ulteriore citazione di Albert Einstein: "La pace non può essere mantenuta con la forza; può essere solo raggiunta con la comprensione." Quindi, seguendo questa ultima esortazione, dobbiamo preparare la pace attraverso il disamo e primi passi di disarmo incondizionato sono la modalità più giusta per assicurare l'omogeneità tra mezzi e fini.

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