Fermiamo la guerra: subito il cessate il fuoco! Intervenga l'ONU. Premiamo dal basso anche con le obiezioni di coscienza usandole come defibrillatore politico!
Consultazione on line di Disarmisti esigenti & partners il 21 maggio 2023 dalle ore 17:30 alle 20:30
Titolo: la nuova obiezione alle spese militari nel ventaglio delle obiezioni da praticare. L'obiezione di coscienza può mettere in crisi la guerra ma deve rivolgersi esplicitamente all'obiettivo di un cessate il fuoco immediato, per il quale deve intervenire l'ONU
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La necessità del cessate il fuoco immediato non nasce, per i Disarmisti esigenti, in via predominante da considerazioni sulla impossibilità pratica si prevalere sul piano militare da parte dei contendenti sul territorio ucraino.
Il punto centrale che contraddistingue la nostra posizione è che consideriamo la guerra già tabu (Papa Francesco: oggi non esistono guerre giuste) e riteniamo che sia plausibile e percorribile, quasi maturo, che l'ONU faccia propria questa interpretazione logica del suo Statuto.
Possiamo affermare che le Nazioni Unite, analogamente all'Italia nel suo art. 11 Cost., "ripudiano la guerra". Questo principio è contenuto in nuce in molti progressi in corso del diritto internazionale, a partire dal Trattato di proibizione delle armi nucleari.
L'escalation del conflitto è sicuramente un pericolo concreto da considerare, ma ciò che ci deve spingere ad agire è l'insopportabilità dei massacri e delle distruzioni in atto sul territorio, e degli effetti collaterali addirittura già più gravi di quelli riscontrabili a Kiev e dintorni: fame in Africa, ecosistema globale inquinato, economia mondiale sconvolta, spinta generale al riarmo.
L'invasione russa del febbraio 2022 ha determinato un aggressore e un aggredito nell'episodio specifico. Ma la vicenda va inquadrata nel contesto più generale, sia storico (lo stesso Papa Francesco ha parlato di abbaiare della NATO ai confini della Russia), sia soprattutto sistemico, in cui siamo tutte e tutti aggrediti dalla guerra in sé. In senso letterale, non solo figurato.
Il mediatore istituzionale, per spegnere l'incendio, non dobbiamo inventarcelo, c'è già, ed è l'ONU. La sua esplicita finalità statutaria, ricordiamocelo, è "mantenere la pace" , come recita l'art. 1 del suo Statuto: "e, a questo fine, conseguire con mezzi pacifici e in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie internazionali".
La responsabilità, per la quale la comunità internazionale, dopo il trauma della Seconda Guerra Mondiale - Mai più Auschwitz! Mai più Hiroshima! - ha messo in piedi questa istituzione, la si deve allora esercitare.
Ecco perché facciamo nostra la proposta di Luigi Ferrajoli e della Costituente della Terra, avanzata nel marzo del 2022, di una convocazione, da parte del segretario generale Guterres, di una Assemblea permanente dell'ONU: a partire dalla intimazione della cessazione immediata dei combattimenti sul campo, deve essere sede di una mediazione da esercitare con una seduta pubblica che, dalla sua apertura di sessione, vada avanti ad oltranza fino a risultato raggiunto.
Seguiamo il ragionamento di Ferrajoli: "Non si tratta certo di mettere all'ordine del giorno la decisione di porre fine alla guerra, cui la Russia opporrebbe il suo veto. Si tratta del dovere dell'Onu di fare tutto ciò che è possibile al fine di ottenere la pace. (...) C'è insomma, il dovere della comunità internazionale di fermare la guerra a qualunque, ragionevole costo: dall'assicurazione che l'Ucraina non entrerà nella Nato all'autonomia, sulla base di un voto popolare nell'esercizio del diritto dei popoli all'autodeterminazione, delle piccole regioni dell'Ucraina russofone e russofile".
Se il governo italiano si facesse latore di questa richiesta sarebbe per esso (e per noi tutti cittadini del Belpaese) un grande merito storico; ed anche l'Unione Europea potrebbe fare la sua parte. Noi società civile, che abbiamo avuto con ICAN il premio Nobel nel 2017 per il ruolo giocato nell'adozione del Trattato di proibizione delle armi nucleari, potremmo e dovremmo premere in tal senso. Qui possiamo mettere in campo legittimamente i ragionamenti sui pericoli di escalation nucleare che questa guerra ci sta facendo correre.
Quanto al ruolo dell'Europa, segnaliamo l'interessante intervista rilasciata a l'Unità, tornata in edicola, del presidente della Fondazione Italianieuropei Massimo D'Alema, che denuncia una abdicazione alla tutela di valori e interessi rilevata dal presidente francese Macron.
"L'Europa deve essere sé stessa nel rapporto con gli Stati Uniti. Ha mancato di una sua responsabilità nella ricerca di una soluzione politica del conflitto ucraino. (...) E' sconfortante constatare che di fronte alla tragedia della guerra l'Europa sia in grado solo di produrre munizioni lasciando ad altri il compito di produrre idee e soluzioni possibili. (...) Che cosa significa vincere la guerra contro una potenza nucleare? E' chiaro che questo comporta il rischio di una guerra nucleare. Questo è stato valutato politicamente? I militari lo stanno valutando questo rischio e anche le possibili conseguenze. Ma l'opinione pubblica europea è pronta alla guerra nucleare? (...) La politica (europea) è scomparsa. La politica la fanno la Cina, il Brasile. L'Europa vuole vincere la guerra contro la Russia. E questo lo trovo alquanto preoccupante".
Riportiamo anche una replica scontata con le risapute giaculatorie del solito giornalista con l'elmetto, in questo caso Franco Locatelli, che glissa sulle responsabilità di D'Alema presidente del consiglio quando, a proposito di aggressioni, la NATO, nel 1999, bombardò "umanitariamente" la Serbia ufficialmente per proteggere la popolazione civile del Kosovo.
"Senza gli aiuti militari il destino dell'Ucraina sarebbe segnato. L'invio delle nostre armi a Kiev significa aiutare Zelensky a rafforzare il suo potere negoziale per una pace giusta, cioè che non consideri russi per sempre i territori ucraini invasi (...). Inoltre, l'accordo spetta alle parti in campo: tocca all'Ucraina stabilire che cosa ritenga giusto o no ("Non abbiamo bisogno di mediatori" ha detto Zelensky al Papa)".
Qui è doveroso da parte nostra avanzare l'interpretazione del diritto di autodifesa (art. 51 della Carta delle Nazioni Unite) compatibile col ripudio ONU della guerra. La legittima difesa, per essere tale, deve essere ragionevole e proporzionata, quindi rifiutare la forma bellica, che oggi non può essere esercitata in modo giusto. La quadratura del cerchio è a portata di mano se si tiene presente che "un'altra difesa è possibile". Non solo è possibile, ma è già stata ampiamente praticata, se si tiene presente che gli Stati che compongono attualmente l'ONU si sono liberati dalle occupazioni militari coloniali (per lo più di Gran Bretagna e Francia) mediante la guerriglia o addirittura, nel caso dell'India, mediante la resistenza nonviolenta.
E' sempre opportuno, oltre che giusto, prosciugare la forma bellica del conflitto sostenendo l'obiezione di coscienza per tutte le parti che si sparano addosso. Ma ai dirigenti della Rete italiana pace e disarmo va ricordato che la nonviolenza efficace accompagna l'etica alla strategia politica. L'ONU riconosce il diritto alla pace delle persone e dei popoli, e deve concretizzare il riconoscimento dell'obiezione di coscienza al servizio militare come diritto umano universale. Oggi la guerra in Ucraina va considerata come una specie di infarto per il potenziale che ha di "unificare la guerra mondiale a pezzetti" e quindi contro di essa bisogna convergere usando le varie campagne pacifiste, ed anche le resistenze territoriali, come "defibrillatore politico".
La riuscita staffetta per l'Umanità del 7 maggio, promossa da Michele Santoro e da Servizio Pubblico per il tramite di un appello di personalità intellettuali e pacifiste, potrebbe aver colto il punto se, contrariamente ai timori del coordinatore delle campagne della Rete italiana pace e disarmo, che non vi ha aderito (era "impegnato in altro"), ci si batterà per una via continuativa non semplicistica; ma includente anche il referendum nella convergenza.
Un pregio di questa manifestazione, che ha mobilitato decine di migliaia di persone su un flash mob per 4.000 km di percorso, è di non avere ignorato, diversamente dal corteo del 5 novembre 2022, il governo e le istituzioni parlamentari italiane come controparte di una volontà maggioritaria dell'opinione pubblica inascoltata.
Come scrivevamo, noi Disarmisti esigenti, proprio nel volantino distribuito al corteo del 5 novembre (e che ci ha determinato a cinque mobilitazioni e digiuni di coerenza ecopacifista): "Le armi tacciano, perciò non siano apparecchiate per chi dà loro la parola. (...) All'unità nazionale dei partiti noi possiamo rispondere con l'unità popolare che va a fare sentire la sua voce sotto Montecitorio e Palazzo Madama. (...) Dare voce alla maggioranza inascoltata del popolo italiano (significa): stop, appunto, all'invio di armi, fine delle sanzioni autodistruttive contro la Russia, no riarmo convenzionale e nucleare, apertura di spazi percorribili per un cessate il fuoco immediato e per la soluzione politica della guerra in Ucraina".
L'obiezione di coscienza può mettere in crisi la guerra
LA PACE IN PIAZZA. I rappresentanti delle associazioni italiane aderenti alla #Object War Campaign consegnano il testo dell'appello che ha raccolto 50.000 firme alle ambasciate di Russia, Bielorussia e Ucraina
Mao Valpiana su il Manifesto del 17 maggio 2023
Hanno camminato in fila indiana dalla Stazione Termini fino alle ambasciate di Russia, Ucraina e Bielorussia per consegnare tre cartoline, formato gigante, con il testo dell'appello della #Object War Campaign: «Chiediamo il pieno rispetto del diritto umano all'obiezione di coscienza al servizio militare che è universale e non derogabile». Sono i rappresentanti delle associazioni italiane aderenti alla Campagna internazionale che ha raccolto 50.000 firme, consegnate ieri – Giornata internazionale dell'Obiezione di coscienza – alla Commissione Europea in un evento pubblico a Berlino.
All'ambasciatore russo hanno chiesto di trasmettere direttamente a Putin il testo «libera tutti i soldati detenuti illegalmente che si rifiutano di prender parte alla violazione del diritto internazionale e riconosci il diritto all'obiezione di coscienza per ogni cittadino russo che lo esercita». Altrettanto chiaro il messaggio consegnato all'ambasciata di Ucraina per Zelensky: «Ritira le incriminazioni per gli obiettori di coscienza che si rifiutano di imbracciare le armi. Ripristina il diritto all'obiezione di coscienza applicando gli standard internazionali a tutti i cittadini».
Il Parlamento europeo si è espresso su questo tema il 16 febbraio 2023 con una risoluzione che «chiede che gli Stati membri proteggano e concedano asilo ai russi e ai bielorussi perseguitati per aver parlato o protestato contro la guerra, nonché ai disertori e agli obiettori di coscienza russi e bielorussi».
Peccato che gli eurodeputati si siano dimenticati degli obiettori ucraini che vengono processati e incarcerati poiché il decreto presidenziale sulla mobilitazione generale non prevede alcuna esenzione al servizio militare e nega la possibilità di svolgere un servizio civile. Forse non volevano irritare Zelensky impegnato nel tour europeo in Italia, Germania, Francia, Gran Bretagna per portare a casa nuovi pacchetti di difesa e armi, mentre rifiuta la mediazione del Vaticano. Se ne è ricordato invece Papa Francesco che ha esaltato la figura dell'obiettore antinazista Franz Jägerstätter che «rifiutò l'arruolamento perché riteneva la guerra totalmente ingiustificata», e lo ha indicato come esempio ai giovani.
«L'obiezione di coscienza al servizio militare è un diritto umano riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, dal Patto Internazionale sui Diritti civili e politici, dal Consiglio Onu dei Diritti Umani, mentre le linee guida dell'Alto Commissariato per i Rifugiati (Unhcr) definiscono gli scenari in cui è previsto lo status di rifugiato per rifiuto del servizio militare», dice Zaira Zafrana, a nome delle reti internazionali Ifor, Wri, Ebco, Connection e.V. che chiedono alle istituzioni europee protezione per tutti gli obiettori e disertori.
Anche se in Russia e Ucraina il fenomeno viene negato e censurato, sono migliaia e migliaia i giovani che hanno scelto questa strada. Vengono dipinti come "traditori", nemici della patria, vigliacchi, ma sono in realtà gli unici che amano la propria patria senza odiare quella altrui, gli unici delle due parti che già si parlano, lavorano insieme e mettono in atto progetti di pace.
I rappresentanti delle associazioni italiane aderenti all'iniziativa (Movimento Nonviolento, Un Ponte Per, MIR, Giuristi Democratici, Pax Christi Italia, Pressenza, Centro Studi Sereno Regis, Caritas, Cnesc), hanno poi tenuto una conferenza stampa al Senato: «Siamo qui per dare la nostra solidarietà alle vittime di tutti i teatri di conflitti armati e sostegno a coloro che rifiutano le armi perchè, come dice la Costituzione all'articolo 11, la guerra la si deve ripudiare».
La Campagna di obiezione alla guerra ha trovato un testimone d'eccezione in Carlo Rovelli, fisico al centro di polemiche per le sue posizioni pacifiste: «Per fermare la guerra bisogna non farla, per cessare il fuoco bisogna non sparare. Per questo sostengo la Campagna del Movimento Nonviolento: per la difesa legale degli obiettori, per il diritto di asilo e protezione ai giovani russi, bielorussi, ucraini che cercano accoglienza in Europa. Al delirio del predominio militare globale contrapponiamo la logica della pace e della collaborazione».
L'intervista a D'Alema su L'unità del 16 maggio 2023
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Un commento all'intervista di Franco Locatelli - tratto da First on line
Massimo D'Alema e la guerra, troppo sarcasmo sull'Europa ma molte amnesie sull'aggressività della Russia
Bentornato sia il ritorno in edicola dell'Unità, storico giornale del Pci e poi del Pd, che con la sua presenza arricchisce il pluralismo democratico dell'informazione e delle voci anche se non sempre condivisibili. E' in questa categoria che rientra un'ampia intervista a Massimo D'Alema, già segretario del Pd e già premier e oggi Presidente della Fondazione Italianieuropei.
"E' sconfortante – sostiene D'Alema – che di fronte alla tragedia della guerra, la Ue sia in grado solo di produrre munizioni" e non abbia cercato "una soluzione politica del conflitto" tra Russia e Ucraina. E ancora: "Gran parte del mondo quando noi europei diciamo che in Ucraina è avvenuto un fatto di inaudita gravità ed è stato violato uno Stato sovrano e c'è un aggressore e un aggredito, non siamo credibili". Dall'Iraq alla Libia e non solo le colpe dell'Occidente e dell'Europa le conosciamo, ma questo vuol dire che oggi non abbiamo il diritto di sostenere il Paese aggredito, l'Ucraina, e di condannare l'aggressore russo? Che cosa dovremmo fare per essere credibili? Stare zitti e lasciare l'Ucraina al massacro degli invasori? Forse qualche distinguo si impone sull'intervista di D'Alema.
D'ALEMA: TRE OSSERVAZIONI SULL'INTERVISTA ALL'UNITA'
Primo questione: l'Europa è solo capace di dare armi a Zelensky? Ma senza quelle armi il destino dell'Ucraina sarebbe segnato, con tanti saluti ai pacifisti a senso unico che si dimenticano sempre di protestare contro la Russia. Secondo: "Non c'è traccia di iniziativa politica europea" per risolvere il conflitto? Purtroppo non scopriamo oggi la frammentazione dell'Europa ma non si possono dimenticare i tentativi isolati del presidente francese Macron di portare al tavolo della trattativa il dittatore russo Putin, magari tra i sorrisi sarcastici di Melenchon e anche di quella parte di sinistra italiana che detesta l'euroriformista Macron. Terzo) e' lecito ricordare e contrastare il disegno autocratico, nazionalista e imperialista con cui Putin cerca di spostare a Est il baricentro del mondo o dovremmo sorvolare con benevolenza considerandolo irrilevante? Su questo nell'intervista di D'Alema non c'è una parola.
D'ALEMA, UNA LEZIONE ASTUTA MA A SENSO UNICO
Su due punti non sono ammesse nè amnesie nè ambiguità: 1) preparare il terreno per l'avvio di un negoziato di pace è sacrosanto ma l'esito della battaglia sul campo non è una variabile indipendente e l'invio delle nostre armi a Kiev significa aiutare Zelensky a rafforzare il suo potere negoziale per una pace giusta, cioè che non consideri russi per sempre i territori ucraini invasi; 2) va benissimo provare a predisporre il terreno del negoziato ma i contenuti di un auspicabile accordo non è l'Occidente e nemmeno la Cina che possono possono dettarli, ma spettano alle parti in campo e tocca all'Ucraina stabilire che cosa ritenga giusto o no ("Non abbiamo bisogno di mediatori" ha detto Zelensky al Papa), come saggiamente ricordava spesso Mario Draghi e come ha sottolineato più volte Macron.
Il mondo non è solo bianco o nero, ma senza questi distinguo l'equidistanza tra Ucraina e Russia, tra democrazia e autocrazia, serpeggia pericolosamente. E la lezione del Presidente D'Alema appare certamente astuta ma inevitabilmente a senso unico.
Retorica della vittoria e vie della pace
da il Manifesto del 14 maggio 2023 - articolo di Francesco Strazzari
I combattimenti di queste ore preparano il campo della massiccia controffensiva. La visita a Roma del comandante in capo Volodymyr Zelensky è parte di un lungo tour interamente volto a rinsaldare il supporto alleato, compattandolo nella fase decisiva.
Non si tratta di una missione per parlare di pace, come hanno titolato alcuni media italiani, ma di una missione di guerra, nella quale si è riaffacciata con enfasi la retorica della vittoria.
Incontrando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni il leader ucraino ha incassato l'appoggio all'ingresso nella Nato e stretto i rapporti con quella parte del governo italiano che, spesso convertendosi last-minute, ha tenuto la linea di deciso sostegno impostata da Mario Draghi.
Per ragioni di sicurezza ormai spesso vediamo Zelensky parlare su uno sfondo bianco e spostarsi con un corteo di macchine uguali, anche se il messaggio resta invariato: servono urgentemente armi a gittata più lunga ed occorre rafforzare la capacità di manovra. A sottolineare lo stretto nesso che esiste, sul fronte atlantico, con le opinioni pubbliche, Zelensky ha significativamente dichiarato che l'Ucraina porterà a termine la liberazione prima delle elezioni statunitensi del prossimo anno.
Un'immagine di efficienza, dunque, a rassicurare sui rischi di escalation e protrazione della guerra e dei suoi costi per tutti. E così arrivano sia i missili Storm Shadow da Londra, sia un nuovo pacchetto di carri armati Leopard e Gepard da Berlino, dove domani è atteso il presidente ucraino.
Sul piano diplomatico, mentre la Cina dispiega il proprio inviato a Mosca e Kyiv, c'è da registrare per la prima volta il cauto ottimismo del Segretario di Stato USA Blinken circa il ruolo che Pechino potrà avere nel portare la Russia a sedere a un tavolo negoziale, verosimilmente a Parigi.
Dopo quasi un anno di lentissimi e sanguinosi avanzamenti, l'arretramento di Mosca verso posizioni difensive anche sul fronte di Bakhmut è avvenuto in modo precipitoso, con tanto di voci di miliziani Wagner che sparano sui soldati russi in fuga. Gli ucraini hanno ristabilito una via di rifornimento, e questa circostanza segna probabilmente un punto di culmine per l'iniziativa militare russa: affrontando costi umani molto alti gli ucraini hanno assorbito le molteplici offensive russe, disarticolandole.
Le incognite principali delle prossime settimane riguardano la capacità di sfondamento delle linee pesantemente fortificate dalle forze di occupazione. Nel frattempo, i sistemi militari occidentali hanno mostrato la loro efficacia: il tentativo russo di affossare le difese antimissile Patriot con un missile ipersonico è stato affossato dalla risposta del sistema Patriot stesso.
Le iniziative diplomatiche sono condizionate da questi eventi sul campo di battaglia. Nella politica internazionale Roma è anche (talvolta soprattutto) il Vaticano: quando si entra nella Santa Sede, però, si esce dai binari dell'atlantismo, per incontrare i fili di una diplomazia esplicitamente schierata sul dialogo e per la pace. Nei mesi scorsi la posizione del Papa ha attirato le pesanti critiche dei più accesi sostenitori di Kyiv, convinti che in ogni appello a far tacere le armi si celi un favore fatto all'aggressore che ormai sarebbe sempre più all'angolo.
Il Vaticano gestisce le complesse vicende del dialogo ecumenico, e non perde occasione per ricordare come il 'martirio dell'Ucraina' sia una guerra fra popoli fratelli, famiglie vicine per lingua e religione. Rispetto al solco di odio e crescente disumanizzazione su cui si erigerà questa frontiera europea il messaggio di fratellanza e perdono cristiano agisce su molteplici livelli. Il Vaticano dichiara di essere disponibile in ogni momento per iniziative che facciano tacere le armi.
Sappiamo di canali diplomatici vaticani che agiscono discretamente e sottotraccia, sappiamo del desiderio del Papa di portare di persona il proprio messaggio ai popoli in guerra. Di rientro dall'Ungheria, Francesco ha spiazzato tutti parlando apertamente di un'iniziativa di pace in corso.
Difficile sapere quale ruolo di preciso la Chiesa cattolica si stia ritagliando rispetto ai calcoli strategici e tattici delle Grandi Potenze o aspiranti tali. È possibile l'impegno su alcune iniziative che ri-umanizzino il conflitto, ad esempio sul ritorno alle famiglie dei bambini ucraini portati in Russia.
Di certo il messaggio del Papa è fra i pochi che si sono distinti, in questo anno orrendo, per rifiuto della logica che porta alla crescita senza fine della spesa per armamenti. L'unico lontano dalla retorica della vittoria, fra i pochi a prendere le distanze dal nazionalismo armato e dalle ossessioni identitarie come fucina della storia europea.